IL LIBRO
«Sto scrivendo un racconto piuttosto lungo nel quale si vedrà

Domenica 31 Maggio 2020
IL LIBRO
«Sto scrivendo un racconto piuttosto lungo nel quale si vedrà un gruppo di esseri umani che hanno capito di essere in prigione, che hanno capito di dovere, prima di tutto, rinunciare a questa prigione (perché il dramma è l'attaccarvisi), e che partono in cerca di una umanità superiore, libera dalla prigione, presso la quale essi potranno trovare l'aiuto necessario. E lo trovano, perché alcuni compagni e io abbiamo realmente trovato la porta. Solo a partire da questa porta comincia la vita reale. Questo racconto avrà la forma di un romanzo d'avventure intitolato II Monte Analogo: è la montagna simbolica che unisce il Cielo alla Terra; via che deve materialmente, umanamente, esistere, perché se no, la nostra situazione sarebbe senza speranza».
«Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo, è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell'invisibile dev'essere visibile».
Era il 1968 quando molti italiani scoprirono queste frasi. Un anno nel quale il mondo stava cambiando tra venti rivoluzionari e spiriti utopici. Anche le montagne stavano diventando luogo di esplorazioni fantastiche: uscite dal grigio-verde delle divise militari, cime con le croci, delirio di obbedienza e pullulare di morti ora vedevano i colori di una dimensione immaginaria, diventando territorio di un nuovo spirito laico.
LE AVVENTURE ALPINE
È possibile rileggere quel testo di Renè Daumal poeta francese, filosofo, scrittore e anche alpinista che diede a quei tempi una formidabile spinta di cambiamento: Adelphi ha mandato in libreria, aggiornato con pagine di appunti dell'autore, Il Monte analogo Romanzo di avventure alpine non euclideee e simbolicamente autentiche, 18 , 144 pagine. Libro che spiega come non si può sfuggire ad una montagna che unisce Cielo e Terra: deve esistere. Del resto, come scriveva lo storico Mircea Eliade: «Tutte le mitologie hanno una montagna sacra, variante più o meno illustre dell'Olimpo».
La storia che racconta Daumal è un mito ricreato, vicenda semplice anche se densa e complessa; ed incompiuta. Romanzo di «sapience-fiction», che l'autore colpito da tempo da una tubercolosi che lo farà morire a 36 anni - inizia nel luglio del 1939 a Pelvoux, «sulla morena del Ghiacciaio Bianco». Tornato a Parigi, dove ha scritto tre capitoli dei sette previsti, abbandonerà la capitale occupata dai nazisti perché Vera, sua moglie, è di origini ebraiche. Si trasferisce nei Pirenei, la zona di Marsiglia e le Alpi, dove, nell'estate del 1943 riprende la scrittura, che la morte interromperà il 21 maggio 1944.
L'ISOLA INVISIBILE
Otto alpinisti-filosofi, Ivan, Judith, il protagonista e la moglie, Artur, Hans, Karl guidati da Pierre Sogol, salgono su uno yacht per arrivare nel Pacifico meridionale dove deve esiste un'isola invisibile, il cui accesso è penetrabile solo in certe condizioni (qui Daumal rivela tutte le sue conoscenze sulla fisica e della curvatura della luce di Einstein). L'isola ospita la montagna più alta del pianeta; che loro vorrebbero scalare. In un delizioso mix di visioni orientali, ecologia, tecnologia e conoscenze antropologiche lo scrittore porta il gruppo fino alle pareti della montagna.
Il libro apparirà in Francia nel 1952 e del 1968 in Italia facendo apparire la figura di Daumal: intellettuale raffinato, compagno di liceo di Simone Weil - alla quale insegnerà poi a leggere il sanscrito studioso delle filosofie orientali e induiste. Il poeta, con altri due amici Gilbert-Lecompte e Roger Vaillant uniti da mille affinità mistiche aveva dato vita ad un sodalizio culturale Le Grand Jeu, che non escludeva il ricorso a sostanze psicotrope come il tetracloruro di carbonio o l'oppio. Dopo l'uscita del libro, nel 1973 Alejandro Jodorowski ispirandosi al romanzo di Daumal trarrà il film La montagna sacra senza mai citare l'autore francese perché i diritti appartenevano ad altri.
GLI ILLUSTRI
«Ho incontrato il Monte Analogo ad un certo punto, leggiucchiato, sfogliato, ma non letto interamente dice Agostino Da Polenza, bergamasco 64 anni, coordinatore del progetto Everest-K2-Crn, quattro Ottomila scalati tra cui il K2 (due volte), senza ossigeno supplementare ma ho sempre presente quel testo. Non so se abbia lasciato tracce nel mondo dell'alpinismo degli anni Settanta, quando nasceva il gruppo del Nuovo Mattino e c'era gente come Giampiero Motti. Allora coesistevano i gruppi d'avanguardia che pensavano di più a montagne parallele come quella di Daumal, ma c'erano anche scalatori che non avevano alcuna idea dell'alpinismo alternativo e puntavano solo alle grandi cime e stop».
«Ho appena riletto il libro dopo il primo incontro nel 1992, allora avevo 27 anni ed ero preso da quello che Daumal dice, da questo bisogno delle altezze che vi prende come un veleno. Poi anch'io sono andato alla ricerca del mio Monte Analogo». Così Marco Berti, veneziano, manager, alpinista, scrittore spiega il grande impatto nelle sue scalate della filosofia di quel testo. «Allora ci muovevamo quando non esistevano i cellulari, al campo base si arrivava solo a piedi, dopo infiniti giorni di cammino. Il tempo, le ore, i minuti erano più lenti, come nel tempo di Daumal, così acquisire conoscenza, l'ascoltare, l'osservare era più facile». È un lavoro di grande modernità conclude Berti - citando la pagina dove Daumal scrive: «Per raggiungerne la cima, si deve andare di rifugio in rifugio. Ma prima di lasciare un rifugio, si ha il dovere di preparare gli esseri che devono venire a occuparvi il posto che si lascia. E solo dopo averli preparati si può salire più in alto. Per questo prima di lanciarci verso un nuovo rifugio siamo dovuti ridiscendere per insegnare le nostre prime conoscenze ad altri cercatori». «Purtroppo spiega Berti - sino ad oggi, negli ultimi 30/40 anni c'è la cultura del io ho i soldi, pago e ho il diritto di fare quello che voglio e quindi i doveri, formazione e cultura, conoscenza e rispetto, stanno ai margini». Da Polenza conclude il suo commento con un'immagine mossa da considerazioni di Guido Tonelli, tra gli scopritori del bosone di Higgs al Cern: «Se la stessa fisica lascia supporre una realtà parallela anche chi cerca di scalare l'Everest forse non ha come obiettivo la montagna, ma qualcos'altro che sta dentro di lui. Cerca un mondo dove si realizzano le immagini che non conosce o che non vuole realizzare».
Proprio in quel 1968 - quando in Italia si legge del viaggio simbolico di otto alpinisti che a bordo della nave L'impossibile arrivano alla base del Monte Analogo - Reinhold Messner scrive un testo memorabile sulle pagine della Rivista del Club Alpino Italiano: L'assassinio dell'impossibile. In quella stagione Messner agisce e non protesta e cerca l'impossibile. La sua rivolta va contro il rischio che l'alpinismo sia ormai senza futuro: artificio, staffe, chiodi ad espansione tentavano di eliminare l'impossibile. Lui invece diceva che «L'impossibile è necessario, altrimenti tutto diventa tecnica arida. L'alpinismo è un fatto culturale, l'incontro tra l'uomo e l'ambiente selvaggio». Ma l'alpinismo era anche un'assurdità, dirà, concludendo l'articolo: «Sono preparato a tutto: anche a tornare indietro, nel caso che io m'incontri con l'impossibile. Non ucciderò il drago; ma se qualcuno vorrà venire con me, proseguiremo assieme verso la vetta, sulle vie che ci sarà dato di percorrere senza macchiarci d'assassinio». Daumal trent'anni prima aveva già scritto: «Non si può sempre stare in cima, ad un certo punto si deve scendere».
Adriano Favaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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