Il cervello vetrificato del custode di Ercolano

Mercoledì 29 Gennaio 2020
Il custode della Casa degli Augustali, il cui cervello ha restituito frammenti di vetro, era completamente carbonizzato, il corpo inglobato in una sostanza solida dall'aspetto spugnoso. Prono, a faccia in giù nel suo letto, forse dormiva, quando all'improvviso fu raggiunto dalla nube ardente che avvolse la città di Ercolano (nella foto) e la seppellì di ceneri e lapilli nel 79 d.C.
A svelare i dettagli della scoperta è l'antropologo Pier Paolo Petrone, primo autore dello studio pubblicato sulla rivista medica The New England Journal of Medicine, condotto grazie alla collaborazione decennale con il Parco archeologico di Ercolano. Nel suo laboratorio di Osteobiologia umana e Antropologia forense del Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate della Federico II, Petrone racconta le fasi della scoperta resa possibile grazie ad una attenta analisi dei resti del custode, rinvenuto negli anni 60 in un piccolo ambiente della casa degli Augustali nell'antica Herculaneum. «Nel corso degli anni mani ignote avevano sottratto parte della calotta cranica e, nel togliere la cenere vulcanica, ho potuto osservare l'interno del cranio. In tal modo ho notato al suo interno dei frammenti neri, vetrosi che scintillavano. Dopo averne raccolto un frammento e averlo osservato attentamente ho pensato che non poteva trattarsi che dei resti vetrificati del cervello anche perché nel corpo non ve ne era traccia, e nel sito neanche».
Tuttavia, andava dimostrato che si trattasse davvero di resti di cervello, Petrone decide di intraprendere ulteriori analisi sul frammento, che porta alla scoperta sorprendente. «Mi serviva qualcosa di definitivo e così le ulteriori analisi hanno evidenziato sette enzimi altamente rappresentati in tutti i tessuti cerebrali umani come amigdala, ipotalamo, corteccia frontale etc».
Dunque, non vi erano più dubbi che si trattasse di cervello vetrificato. «La vetrificazione è un effetto dell'esposizione ad elevata temperatura seguita da un rapido raffreddamento» dice. «Il processo di vetrificazione, tra i 480 e i 520 gradi centigradi, come abbiamo dimostrato con le nostre analisi, anche dopo duemila anni può lasciare intatte tracce biologiche che altrimenti non si conserverebbero».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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