Il 26 Gennaio 1918 nasceva a Scornicesti, un modesto villaggio rumeno, Nicolae Ceausescu.

Sabato 25 Gennaio 2020
Il 26 Gennaio 1918 nasceva a Scornicesti, un modesto villaggio rumeno, Nicolae Ceausescu. Lo ricordiamo perché, per un breve periodo, illuse il mondo che il comunismo dell'Est europeo fosse compatibile con una politica estera indipendente dall'Urss, e potesse evolversi, all'interno, verso un socialismo riformatore. L'illusione durò poco, e Ceausescu, dopo una senile involuzione dispotica, fu trucidato dai suoi stessi compagni, unica vittima cruenta nel generale sfacelo dell'«Impero del male» nel 1989. Ma in ogni caso sarà annoverato tra i politici più importanti e più originali del secolo scorso.
LA VITA
Era di famiglia contadina, e a quattordici anni era già abbastanza istruito e motivato da entrare nel partito comunista, all'epoca illegale. Fu arrestato, condannato, liberato e arrestato di nuovo. A quel tempo il marxismo, più che una dottrina politica era una fede, che raccoglieva proseliti animati dall'entusiasmo tipico delle religioni emergenti. Le biografie della nomenklatura del Cominform sono tutte contrassegnata dall'arruolamento di militanti in giovanissima età, che spesso rimasero devoti credenti fino alla fine, dopo aver affrontato la prigione, la tortura e la morte in nome del loro credo. Poiché le stesse caratteristiche le troviamo tra gli appartenenti a religioni e ideologie diverse ed opposte, ne dobbiamo concludere che la coerenza e il coraggio sono indipendenti dalla bontà e dalla verità delle teorie che li ispirano. E anche se nell'odierno vuoto spirituale qualcuno è tentato di rimpiangere i tempi in cui esistevano i valori, spesso di questi ultimi si è fatto un uso così malsano, che piuttosto di nutrire fedi repressive è meglio non averne affatto. Ma torniamo a Ceausescu.
Dopo l'avvento al potere dei comunisti nel 1947, il giovane burocrate avanzò in carriera secondo il rigoroso cursus honorum dell'apparato di partito: vice ministro dell'agricoltura e poi della difesa, quindi membro del Politburo e infine, nel 1965, primo segretario, cioè capo assoluto del Paese. Qui dimostrò subito la sua intraprendente originalità, contestando la teoria della sovranità limitata di Breznev (che attribuiva a Mosca il diritto di intervenire contro ogni forma di dissenso dei Paesi satelliti) e limitando la partecipazione alle manovre militari del Patto di Varsavia. Ma la vera svolta avvenne nel 1968, quando si rifiutò di intervenire nella repressione della primavera di Praga, ed anzi criticò il Cremlino per l'invasione armata della Cecoslovacchia; infine, instaurò buoni rapporti con la Comunità Europea e persino con Israele. Era l'audacia di un eretico che sfidava l'orso russo.
Fu una scelta astuta, che si concretizzò con la storica visita di Richard Nixon a Bucarest nell'Agosto del 1969, tra due ali immense di folla plaudente. Nessun presidente americano, neanche Kennedy a Berlino, era mai stato accolto con tanto entusiasmo. L'America, afflitta dalle contestazioni interne e dalla guerra nel Vietnam, quasi si stupì di tanta popolarità in un Paese formalmente ostile, e Ceausescu divenne il simbolo di una breccia nella cortina di ferro e della prima evoluzione democratica di un regime comunista. Ma furono speranze vane.
LA SPIRALE
All'interno, il conducator si rivelò sempre più autoritario e sospettoso. Represse ogni forma di dissenso, enfatizzò il culto della sua personalità, esagerò nella corruzione e nel nepotismo, umiliò le donne con una politica demografica aggressiva, che imponeva numeri insostenibili di figli e puniva l'aborto peggio dei regimi più clericali. Alla fine, anche se tardivamente, l'Occidente cominciò a temere di aver puntato sul cavallo sbagliato. Quando, nel 1989, fu fucilato dopo un processo farsa, nessuno si rammaricò.
La fine di Ceausescu fu quella dei dittatori travolti da una megalomania non corrispondente alla loro influenza politica. Hitler e Stalin, che macellarono degli innocenti molto più di lui, non soffrirono le umiliazioni postume delle vendette popolari. Il primo perì nel'apocalittico Walhalla di Berlino, e non se ne ritrovarono che pochi frammenti carbonizzati. Il secondo incuteva un tale terrore anche da morto, che gli aspiranti eredi, a cominciare da Beria, vollero accertarsi di persona, con pratiche elementari, che il tiranno fosse realmente defunto. Francisco Franco e Iosif Tito, che non erano stati governanti benevoli, morirono vecchissimi nel loro letto, anche dopo aver perso il potere. Ceausescu invece condivise la sorte di Mussolini, come lui e braccato e catturato durante una fuga disonorevole. Per loro non vi è stata grandezza neanche nella fine.
IL BILANCIO
Il giudizio politico di Ceausescu, a distanza di trent'anni, segue le consuete regole della storia: una damnatio memoriae, un principio di revisionismo, un tentativo di riequilibrio imparziale. Tutto sommato, la sua figura emerge come quella di un comunista convinto e abile, che seppe gestire il potere e l'immagine con spregiudicatezza e opportunismo, salvo esser alla fine travolto dalla sua stessa incontenibile ambizione. La sua autonomia in politica estera fu sincera, non per un'inconcepibile (per lui) evoluzione liberale, ma perché gli conferiva un prestigio molto maggiore di quanto meritassero le modeste dimensioni territoriali e militari del suo Paese. Coccolato e persino onorato dalle potenze occidentali convertì questa autorevolezza in un inflessibile autoritarismo interno, ed esasperò il popolo con le sue iniziative stravaganti e costose. Nell'ebbrezza del suo incontrastato dominio volle ripianare il debito pubblico esportando la quasi totalità della produzione agricola e delle risorse energetiche, condannando i rumeni a un lungo calvario di fame e di freddo. E nella peggior tradizione dei satrapi progettò demolizioni e riedificazioni che dissanguarono le residue magre finanze dello stato, lasciando delle raccapriccianti cattedrali laiche a duraturo ricordo della sua breve signoria. Tuttavia non fu un macellaio crudele, e, come spesso avviene, il fragore della sua caduta ampliò la risonanza dei suoi misfatti, esagerandone le dimensioni e le caratteristiche.
IL RICORDO
Fu spietato con gli avversari come tutti i dittatori, ma non si piegò al ruolo di acquiescente sicario dell'egemonismo sovietico come Walter Ulbrich, Klement Gottwald o Matyas Rakosi. I rumeni riconobbero in questo patriottismo un correttivo alle velleità dell'autocrate, e oggi, soprattutto tra gli anziani, c'è addirittura chi lo rimpiange. Forse perché cinquant' anni fa, per un breve periodo, si sentirono al centro dell'attenzione, e forse della speranza, dell'intero mondo occidentale. O forse semplicemente perché il tempo addolcisce i ricordi, anche i più brutti.
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