I piccanti piaceri di Venezia

Giovedì 20 Febbraio 2020
I piccanti piaceri di Venezia
LA STORIA
«Chi non ha vissuto negli anni prima della rivoluzione non sa cosa sia la dolcezza di vivere» pare abbia detto Talleyrand, più volte ministro degli Esteri francese. In effetti la Parigi pre rivoluzionaria era considerata la capitale europea del libertinismo, ma attenzione subito dopo veniva Venezia. E infatti parecchia Venezia si ritrova nel libro di Francesca Sgorbati Bosi, Non mi attirano i piaceri innocenti. Costumi scandalosi nella Parigi del Settecento (Sellerio). Il titolo si riferisce a un'affermazione di Anna Genoveffa di Borbone-Condé, principessa di Longueville, in realtà vissuta nel secolo precedente, che un giorno si annoiava.
LE ABILITÀ MORBOSE
Le propongono di cacciare, passeggiare, giocare, ma lei replica che no, che tutte quelle attività proprio non le piacciono: «Cosa volete che vi dica? Non mi attirano i piaceri innocenti». E i piaceri innocenti non attirano nemmeno Giacomo Casanova che soggiorna a lungo nella capitale francese. Per esempio proprio lì l'avventuriero riesce finalmente a esaudire il suo desiderio di congiungersi con una delle veneziane più belle e desiderate dell'epoca, Giustiniana Wynne. La donna, figlia di un inglese e di una veneziana, era l'amante di Andrea Memmo, il patrizio noto per aver fatto realizzare l'Isola Memmia, nel Pra della Valle, a Padova. Quando giunge a Parigi è poco più che ventenne e, ahilei, incinta. Vuole liberarsi della gravidanza ormai avanzata e chiede aiuto proprio a Casanova. Questi non se lo fa ripetere due volte e organizza tutto da par suo. Ritrova una vecchia ricetta alchimistica dell'aroph, un infallibile forse rimedio abortivo a base di zafferano, miele e mirra. Perché facesse effetto bisognava introdurlo nel corpo della donna incinta collocandolo alla sommità di un cilindretto, ma Casanova ci mette un tocco personale: spiega Giustiniana che il rimedio avrebbe avuto più effetto se l'avesse introdotto lui di persona. La donna, seppur a malincuore accetta. Scrive Giacomo in Storia della mia vita: «Eravamo serissimi, con l'aria del chirurgo che si appresa a eseguire un'operazione e del paziente che vi si sottomette. Il chirurgo era lei. Così sistemò la scatola aperta alla sua destra, si coricò sul dorso, allargò le cosce sollevando le ginocchia, inarcò la schiena e contemporaneamente, alla luce della candela che io reggevo con la sinistra, applicò un cappuccetto di aroph sulla testa del personaggio che lo avrebbe portato nell'orifizio dove si sarebbe prodotto l'amalgama. La stupefacente è che non ridevamo e che non avevamo neppure voglia di ridere, tanto era l'impegno che mettevamo nella parte. Finalmente il personaggio in questione fu completamente introdotto dove doveva essere introdotto e la timida fanciulla spense la candela».
AMPLESSI E BIZZARRIE
Al serissimo amplesso ne seguono altri, perché l'avventuriero spiega alla Wynne che le applicazioni devono essere ripetute. Inutile dire che il metodo Casanova non funziona e infatti Giustiniana andrà a partorire tra le mura discrete di un convento, indicatole, guarda caso, dal medesimo Giacomo. Il sesso era spesso legato al gioco d'azzardo e qualche ambasciatore veneziano non esitava a trasformare in bisca la sede della rappresentanza diplomatica della Serenissima. Marco Zen, nel 1776, per incentivare la presenza di giocatori nell'ambasciata, invita anche numerose e graziose giovani ragazze. Il successo è strepitoso, tanto che deve aprire svariate sale per ospitare giocatori sempre più numerosi e sempre meno selezionati (il gioco era un'attività che abbatteva le differenze sociali). I giocatori di estrazione più bassa erano indirizzati verso una sala opportunamente battezzata Inferno. Giacomo Casanova, figlio del suo tempo, non si sottrae certo al gioco d'azzardo e si dice che sia stato proprio lui, nel 1776, a convincere la corte a introdurre la Loterie Royale, spiegando quale fonte di introiti costituisse il lotto per la Serenissima repubblica.
LA BIONDINA IN GONDOLETA
D'altra parte anche un altro veneziano illustre trasferito a Parigi, Carlo Goldoni, annota con arguzia: «Non si può passare una serata senza fare niente: dopo le novelle del giorno, dopo la critica del suo prossimo e de' suoi amici, ancora per necessità conviene giocare». Si calcola che nella Parigi di quegli anni il 13 per cento delle donne tra i 13 e i 25 anni era dedita alla prostituzione. Il confine tra meretricio e amore libero era però molto labile: una gentildonna che accetta monete d'oro in regalo per congiungersi con un ricco personaggio, come dev'essere classificata? È il caso, per esempio, di Marina Benzon Querini, l'autentica biondina in gondoleta che non si tirava certo indietro di fronte a una generosa offerta. Ovviamente non fanno difetto i bordelli veri e propri e Casanova ne descrive uno dei più famosi, in faubourg Saint-Honoré: «Buona tavola, buoni letti, pulizia, ordine, tariffe ragionevoli per ogni tipo di piacere, quattordici ragazze vestite tutte uguali, in mussolina, circa della stessa età, alcune bionde, altre brune, per tutti i gusti». Oltre agli amori etero, non potevano mancare gli amori omosessuali, sia maschili sia femminili.
GLI INCONTRI SAFFICI
Le donne seguaci di Saffo si facevano chiamare «anandrine» (dal greco «senza uomini») e il capitolo a loro dedicato è uno dei più divertenti, perché manca del tutto ogni traccia di violenza, purtroppo all'epoca molto comune. Comunque anche un ambasciatore veneziano non identificato, negli anni Ottanta, quindi poco prima della rivoluzione, intesse una relazione con uno degli attori più famosi della Comédie-Française, Abraham Joseph Bénard, detto Fleury. Altro noto omosessuale dell'epoca è il dica de Villars, descritto da Casanova come un vecchio incartapecorito, affettato, e pesantemente truccato che manteneva quattro bei ragazzi in grado di scaldare il suo letto tutte le notti. Alcune pratiche al tempo abbastanza comuni oggi non solo farebbero inorridire, ma condurrebbero dritte a una cella. Come quella di prendersi cura di bambine ospiti di orfanotrofi o figlie di famiglie povere che poi, non appena giunte alla pubertà, diventavano le amanti dei loro pigmalioni. A questa pratica accenna un altro notissimo libertino dell'epoca, ovvero Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart, che fa dire a Leporello riferendosi a don Giovanni: «Sua passion predominante è la giovin principiante». Sebbene «così fan tutte», sebbene l'atmosfera fosse giocosa, non si possono sminuire i drammi che stavano dietro al libertinismo, come racconta una donna di piacere di allora: «Per quanto possa apparire attraente la nostra condizione, non ce n'è di più umiliante né più crudele. Non potreste immaginare, senza averlo provato, a quali eccessi gli uomini portano la loro dissolutezza nel delirio della passione».
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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