LA STORIA
«Con segreta e accorta maniera»: era la formula utilizzata

Martedì 26 Marzo 2019
LA STORIA
«Con segreta e accorta maniera»: era la formula utilizzata dagli Inquisitori di stato della Serenissima quando volevano eliminare qualcuno. Uno dei mezzi più accorti e segreti per uccidere era il veleno e nelle stanze degli Inquisitori a palazzo Ducale c'era sempre un'adeguata scorta. Ne aveva parlato Paolo Preto nel suo libro sui servizi segreti di Venezia, ha ripreso la tematica Davide Busato, con nuovi e approfonditi studi, basati sulle fonti d'archivio conservate ai Frari. Interessante esaminare le sostanze che molto spesso erano le stesse utilizzate per la farmacopea. La parola greca farmakon significa sia medicinale, sia veleno e, come diceva Paracelso, medico del Cinquecento, non esistono sostanze velenose, esistono invece dosi velenose. L'arsenico può essere una delle componenti dei medicinali, ma assunto in dosi più alte diventa mortale. Lo stesso discorso vale per svariate altre sostanze. I killer della Serenissima usavano spesso la polvere di diamante. Non si tratta di un vero e proprio veleno, ma di una sostanza che, mescolata al cibo, provoca microlesioni intestinali. In questo modo le sostanze nutritive fuoriescono dai forellini praticati nell'intestino e l'organismo va incontro a una lenta morte per inedia. Il vantaggio della polvere di diamante è che non lascia tracce quanto mai «segreta e accorta», sembra che il decesso avvenga per cause naturali lo svantaggio è che non sempre risulta efficace. Le microlesioni sono talmente piccole che possono talvolta non comportare conseguenze fatali.
L'ESPERTO
«La polvere di diamante, spiega Busato, «persiste nella documentazione e sul finire del Seicento gli Inquisitori si procurano a più riprese la polvere di diamante dalla famiglia Tiozzi, che possedeva l'oreficeria all'insegna del Sanson, in Ruga a Rialto. Un sistema che viene ritenuto ancora efficace e proposto anche per la morte del vescovo di Cetinje nel Montenegro nel Settecento un gropetto di polvere di diamante, poco meno della metà sarà una presa». Busato ha indagato anche le altre sostanze utilizzate per eliminare i nemici dello Stato. «Sulle ricette e su quali veleni si fossero concentrati nei secoli», osserva, «il materiale archivistico non sempre offre risposte precise. In una ricetta del 1540 proveniente dall'archivio segreto del Consiglio di dieci si riprendono buona parte delle stesse sostante: la radice di napello, l'acqua di ciclamino detta pan porcin, l'arsenico, il sublimato, il verde rame, l'antimonio, l'aconito e l'orpimento. Nel 1686 gli Inquisitori inviano una richiesta al capitano di Padova affinché si procurasse tutto il necessario per la creazione di un veleno. Nello specifico richiedono radice di solatro magiore o vero erba beladona, radice di ranoncolo fibre da sorte, radice di napello fibre tre, vipere che sia veramente prese nelli monti euganei numeri tre.
LE SOSTANZE
Queste sostanze che singolarmente sono tossiche vengono spesso lavorate, distillate, bollite, ridotte in polvere, mescolate con acqua e lasciate evaporare. Il risultato diventa controproducente rendendole di sovente inefficaci. Girolamo Maggi (1523-1572) nei suoi Ricordi per la difesa di Famagosta, inviati al Consiglio di dieci, si era soffermato sull'uso del veleno contro il nemico e aveva proposto di porre vipere e rospi in un sacchetto di lino tormentandoli per aumentare il potenziale del veleno. Successivamente sotto il sole si sarebbe raccolto il liquido da mescolare alla «bile et fiele et della saliva et grasso liquefatto. Il tema di questi rospi detti bufone ricorre anche nel Settecento».
L'utilizzo dei veleni animali era conosciuto fin dall'antichità: gli sciti formidabili arcieri intingevano le loro frecce nel veleno di serpente, i romani gettavano sui ponti delle navi nemiche vasi di terracotta pieni di scorpioni. Ovviamente anche Venezia pensava all'uso bellico dei veleni. Durante la lunga e dispendiosa guerra di Candia (24 anni, dal 1645 al 1669), il medico Michiel Angelo Salamon aveva proposto al Provveditore generale di Dalmazia e Albania, Leonardo Foscolo, un piano per estrarre il principio attivo della peste bubbonica dalle pustole degli appestati e sintetizzarla come veleno. Non se ne fa nulla, ma il rapporto con gli Inquisitori continua anche con il figlio del medico, al quale viene pagata una somma per veleni commissionati nel 1683». L'anno successivo comincerà la guerra di Morea, quella che porterà Francesco Morosini a conquistare il Peloponneso.
Ancora Davide Busato spiega che «il medico Buonafede Vitali, nel 1730, fa ricercare un particolare rospo che si poteva trovare solo a Padova o Treviso, oltre a due opiati un fluido l'altro solido. La credenza che dal rospo si potesse ottenere un veleno persiste per tutto il Settecento e la ritroviamo anche in un caso di uxoricidio avvenuto nel 1778 nel quale, oltre alle bacche di belladonna, l'avvelenatrice tenta di usare anche un rospo, un uovo bollito per due sere, l'olio venefico di scorpione, l'arsenico, nonché la polvere di diamante. Quest'ultima indicazione suggerisce come anche nel popolo si sapesse dell'uso della polvere di diamante come sistema efficace.
I PROCESSI
Proprio dai processi settecenteschi seguiti dagli Inquisitori di stato e dal Consiglio di dieci per vari avvelenamenti avvenuti nel territorio, si evince che le sostanze maggiormente utilizzate fossero l'arsenico, l'orpimento (ovvero trisolfuro di arsenico), gli estratti oppiacei». Gli Inquisitori di Stato erano temutissimi, la sola presenza di uno dei loro «fanti» (agenti) bastava per disseminare paura e sconcerto, l'omicidio di stato era un mezzo regolarmente usato dagli stati di antico regime (e anche da quelli odierni, solo che ieri come oggi si tende a tenerlo nascosto). Non abbiamo però numeri e statistiche per determinare quante siano state le vittime dei killer della Serenissima, né sappiamo se la repubblica veneziana facesse ricorso a questi sistemi in misura maggiore o minore rispetto agli altri stati a lei contemporanei. Sappiamo però che questi metodi non sempre funzionavano.
«Uno dei casi più imbarazzanti», conclude Davide Busato, «è quello contro Giovan Battista Donini detto Simoneto. Il caso fa parte degli eventi collaterali alla guerra di successione spagnola che dal 1701 coinvolgeva l'intera Europa. Arrestato nel territorio di Rovigo per contrabbando, Donini viene portato nelle carceri. Forse operava come spia al soldo degli austriaci e gli Inquisitori di stato ordinano che sia avvelenato per le vie secrete, senza osservazione, e con la maggior sollecitudine, così che apparisca la sua morte naturale e inviano a più riprese veleni specifici. Per un paio di settimane gli viene somministrato veleno nel vino, nella minestra, e nell'acqua: nulla sembra funzionare. Intuendo che lo stessero assassinando l'uomo cerca di non mangiare. Comunque, denutrito e costretto a bere la propria urina, presto sopraggiunge la febbre e Simoneto alla fine muore. Obiettivo raggiunto, ma non è stata certo una delle operazioni di maggior successo della repubblica di Venezia», conclude Busato.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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