IL SAGGIO
Mani pulite, i processi a Gesù e Socrate, il caso dei coniugi

Lunedì 19 Febbraio 2018
IL SAGGIO
Mani pulite, i processi a Gesù e Socrate, il caso dei coniugi Bebawi del 64, la condanna civile e assoluzione penale di O. J. Simpson. E poi le riflessioni sulla giustizia di Sartre e Camus, di giuristi come Carnelutti e Satta, e citazioni all'apparenza incongrue come gli Esercizi di stile di Raymond Queneau e Rashomon, capolavoro del regista Kurosawa, per mostrare che la varietà di punti di vista rende drammatica, drammaturgica, o processuale, la ricerca della Verità. Cultura e esperienza confluiscono, stese e sintetizzate in un italiano limpido, nelle 10 lezioni sulla giustizia, per cittadini curiosi e perplessi (Mondadori, 135 pagg.) del magistrato e romanziere Francesco Caringella. Che ha contribuito a fare (o disfare) la storia d'Italia firmando il primo mandato di cattura contro Bettino Craxi.
UMILTÀ
Ma nel ricordarlo Caringella rivela l'umiltà del buon giudice, non accecato dal potere della sentenza ma che anzi ne avverte la scomoda responsabilità. Finalmente, verrebbe da dire, un magistrato che sa parlare ai cittadini e nel farlo non pregiudica, ma esalta, il prestigio della toga. Confessa infatti che quando anni dopo seppe che Craxi era «morto a Hammamet, senza poter tornare in patria per difendersi da uomo libero e, prima ancora, da uomo sano», provò «una forte emozione, e mi chiesi scrive - se la mano della giustizia non fosse stata troppo dura contro un uomo che fa parte della nostra storia». Non un pentimento né un rimorso. Ma solo «compassione, empatia, partecipazione a una vicenda umana. Soprattutto una riflessione, se vogliamo impaurita, sul potere dei giudici di incidere sulle esistenze degli individui e di modificare il corso della storia».
INDAGINE
Parole che ritornano nella evocazione di due esperienze personali. La prima, la lettura di una sentenza un mattino di novembre di vent'anni fa, quando a pochi metri dagli 8 giudici della Corte (tra cui Caringella) un uomo di poco più di 50 anni «stringeva le sbarre della gabbia e fissava dritto in viso gli esseri umani che stavano per decidere il suo destino».
Il metallo «doveva essere gelido I suoi occhi, neri e venati di sangue e di paura, fissarono i miei. Ebbi un fremito». Era lo sguardo di «un essere umano rivolto a un altro essere umano che aveva il potere di annientarlo o di salvarlo». Qui risiede la struggente asimmetria del processo, l'inevitabile violenza della legge. Il secondo episodio è la richiesta di spiegazioni della madre al figlio giudice sul perché, davanti alle stesse prove e alle stesse leggi, nei diversi gradi e davanti ad altri giudici, un imputato possa esser giudicato prima colpevole e poi innocente.
Il dubbio, poi, è fondamentale nel giudizio. L'assoluzione dei Bebawi in primo grado (i giudici erano sicuri della colpevolezza di uno dei coniugi, ma non di quale) dimostra che la condanna deve superare «ogni ragionevole dubbio».
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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