«Gershwin e Einstein quei geni a casa mia»

Domenica 22 Ottobre 2017
L'INTERVISTA
«Nella musica contemporanea c'è sempre un messaggio di speranza. L'opera di Luigi Nono andava proprio in questa direzione».
Nuria Schoenberg Nono, 84 anni, vedova del compositore veneziano e figlia dell'indimenticabile padre della dodecafonia, con il recente festival dedicato alla memoria del marito ha raccolto tanto entusiasmo soprattutto da parte degli ascoltatori più giovani. Quattro giorni di incontri, rappresentazioni, letture e mostre fotografiche che hanno riempito ogni spazio di una rinata Giudecca.
«L'isola ha risposto bene - spiega la figlia Serena Nono, pittrice - e questo entusiasmo da parte degli studenti a mio padre sarebbe piaciuto». L'archivio Nono è visitato soprattutto da stranieri che si immergono in questo corposo patrimonio culturale composto da 13mila libri, 62mila schizzi, ma anche una mostra con tante fotografie curiose. Luigi Nono e Bruno Maderna che scherzano, gli incontri del compositore con Claudio Abbado, Pierre Boulez, Maurizio Pollini, Massimo Cacciari e l'immancabile Emilio Vedova senza dimenticare le straordinarie riproduzioni del set-nave di Prometeo di Renzo Piano e l'avanguardistico Al Gran sole carico d'amore.
Nuria Schoenberg Nono, da dove nasce questa speranza legata alla musica contemporanea?
«Nelle opere di Nono, sia con il testo che senza, si nota sempre una partenza drammatica, di sofferenza, ma poi verso la fine arriva uno sguardo positivo per il futuro».
Cosa ricorda dei suoi anni giovanili in California a fianco di suo padre arrivato negli Stati Uniti nel 1933 per sfuggire al nazismo?
«Penso che l'esperienza più impressionate sia stato quando Schoenberg ha eseguito il Pierrot Lunaire in casa. Avevo appena 8 anni quando decise di chiamare i musicisti nella nostra abitazione di Los Angeles per fare le prove. Era la prima volta che lo vedevo dirigere solisti e cantanti ai quali continuava a ripetere che la musica doveva muoversi per poi passare dal centro a fuori (indica con le braccia il movimento
ndr). È stata una giornata davvero indimenticabile».
Gli Stati Uniti erano diventati il rifugio di molti intellettuali in cerca di un futuro. Che incontri le hanno lasciato maggiormente il segno?
«Mio padre, dopo essere riuscito tra mille difficoltà ad arrivare in California, si era dato molto da fare per aiutare gli altri ebrei tedeschi che stavano in Europa. In un concerto benefico di questo tipo, per raccogliere fondi, si era anche incontrato con Albert Einstein, ma poi il loro rapporto si bloccò in quanto Einstein snobbò un amico astrologo di papà che gli chiedeva aiuto».
E con la musica?
«In generale direi che Schoenberg rispettava molto chi faceva bene il proprio lavoro. Apprezzava il jazz di quegli anni e tra i musicisti che stimava di più c'era sicuramente Dave Brubeck».
Shoenberg ha definito George Gershwin un innovatore: quello che ha fatto con il ritmo, l'armonia e la melodia non è mero stile. Si parla spesso anche della curiosa partita a tennis con Gershwin a Los Angeles.
«Gershwin abitava dalle nostre parti ed era entrato in confidenza con la nostra famiglia. Shoenberg era un appassionato di tennis, ma non ricordo questa partita. So che aveva chiesto alcune lezioni di musica, ma mio padre gli disse che non ne aveva proprio bisogno. C'era una grande stima reciproca, peccato che Gershwin sia morto così giovane».
Vede dei collegamenti, come hanno detto alcuni studiosi, tra la dodecafonia e il jazz di quegli anni?
«Penso di sì, papà frequentava spesso i jazzisti e ne apprezzava il valore. Quando andavano in spiaggia, dalle parti di Malibù, spesso arrivava il clarinettista Artie Shaw e con lui si instaurava un rapporto molto particolare. Che tipo simpatico Artie, con l'auto faceva sempre incidenti e noi, quando ci invitava a fare un giro con lui, dicevamo che eravamo un po' impegnati (ride). Era un musicista molto colto e scriveva anche molto bene. Una volta arrivò in spiaggia con la moglie Ava Gardner e noi rimanemmo tutti colpiti dalla sua bellezza».
E con l'opera lirica?
«Mia mamma amava l'opera e anche papà l'ascoltava con piacere trovando sempre spunti interessanti. Un giorno ci raccontò del suo incontro, dopo un concerto, con Giacomo Puccini».
In California avevate mantenuto i rapporti con l'Europa?
«Certo, mio padre era sempre in contatto ed aveva aiutato tante persone ad arrivare negli Usa garantendo di persona, anche sul fronte dei documenti, per loro».
Gianpaolo Bonzio
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