Fresu sfida Baker a teatro: «Ritratto tra musica altissima e vita difficile»

Lunedì 19 Novembre 2018
Fresu sfida Baker a teatro: «Ritratto tra musica altissima e vita difficile»
IL COLLOQUIO
«Un caos incessante intessuto di puro genio». Così lo dipingeva la terza moglie Carol nella prefazione all'unico libro di memorie del mitico trombettista jazz e cantante Chet Baker, scomparso ad Amsterdam, in circostanze tragiche, nella tarda primavera del 1988. Trent'anni dopo è ancora Tempo di Chet. A segnarlo, questa volta, è la tromba di Paolo Fresu, protagonista con un gruppo di attori (tra cui Alessandro Averone, nei panni del talentuoso jazzista americano) di questo inedito progetto teatrale al debutto prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano con la regia di Leo Muscato, su testi suoi e di Laura Perini. E in procinto di iniziare una tournée che lo porterà all'inizio 2019 a Venezia (Teatro Goldoni, 31 gennaio-3 febbraio) e Padova (al Verdi dal 6 al 10/2).
«È la prima volta che collaboro in modo così attivo a uno spettacolo teatrale di questa portata e per farlo nei prossimi mesi annullerò quasi del tutto i miei normali impegni musicali» dice in una pausa delle ultime prove Paolo Fresu, autore tra l'altro delle musiche originali, suonate dal vivo con i colleghi Dino Rubino (piano) e Marco Bardoscia (contrabbasso). «È un lavoro complesso, con un dialogo molto serrato fra musica e testo, che mi auguro riesca nel duplice intento di offrire al pubblico un ritratto a tutto tondo di Chet, con la sua musica altissima e le sue umane difficoltà, e di ripercorrere insieme un tratto significativo della storia del jazz, fra gli anni '50 e gli '80 del secolo scorso».
RITRATTO DI JAZZISTA
Biograficamente parlando, Paolo Fresu è distante anni luce da Chet Baker «Eppure mi sento esteticamente molto vicino alla sua poetica. La sua musica, come forse lo è la mia, era malinconica, giocata sulle mezze tinte, mai esplosiva, solare. E questo fin da giovane, a prescindere dunque dai suoi trascorsi. Inoltre in lui, a una vita estremamente sregolata si contrapponevano un ordine incredibile e una estrema lucidità nella costruzione dei brani e nella ricerca quasi maniacale di una pulizia del suono».
Si dice che avesse un carattere impossibile, che sfogava sui musicisti che suonavano con lui... «È documentato. Ma quando finalmente lo incontrai, al termine di uno dei miei primi concerti, a Sanremo, nell'83, fui letteralmente folgorato dalla sua umanità. Stavo riponendo lo strumento e lui mi venne incontrò dal fondo della sala solo per complimentarsi: aveva apprezzato la mia versione di Round Midnight. Poi si voltò e se ne andò in silenzio, com'era venuto».
Paolo Crespi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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