Fiammetta Borsellino: «Contro la mafia, come mi insegnò papà»

Mercoledì 2 Ottobre 2019
L'INAUGURAZIONE
«Sapevamo che potevano ucciderlo ogni giorno. Sono cresciuta convivendo con il pericolo di una tragedia incombente. Tutta la mia famiglia era consapevole di quello che sarebbe successo, ma abbiamo vissuto ogni momento senza mai tirarci indietro». Fiammetta Borsellino, il 19 luglio del 1992, giorno della strage di via D'Amelio - in cui vennero ammazzati il padre Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina - aveva 19 anni. Ora ne ha 46, ma considera quello che sta facendo la prosecuzione degli insegnamenti impartiti dal padre.
«Grazie alla sua grande ironia, papà ci ha fatto vivere tutto con naturalezza, ci ha insegnato che si può convivere con la paura e che non ci si deve fermare per paura» spiega la terzogenita del magistrato ucciso dalla mafia ieri a Vicenza per l'inaugurazione della mostra fotografica L'eredità di Falcone e Borsellino, visitabile fino al 18 ottobre negli spazi della Fondazione Studi Universitari (in viale Margherita 52).
«La mostra è fatta bene, con didascalie complete ed è importante, perché è uno degli strumenti di conoscenza per i ragazzi, per far comprendere alle nuove generazione cosa è successo negli anni Settanta, Ottanta e Novanta: una vera guerra con tantissime vittime». Ed è proprio in questo suo essere presente, che Fiammetta Borsellino parla di prosecuzione dei precetti ricevuti dal padre: «Questa mostra, come tutti gli eventi che riconducono a quegli anni, vanno abbinati ad un percorso di condivisione, perché condividere la mia storia personale può innescare un movimento culturale e morale che è la vera lotta alla criminalità organizza».
LA CONDIVISIONE
Quindi il percorso per immagini, dedicato ai due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno combattuto la mafia e sono stati uccisi a tre mesi di distanza uno dall'altro, si rivolge a tutti, ma in particolare ai più giovani e agli studenti, perché quanto fatto rimanga vivo. E soprattutto se ne parli. «Si sono fatti passi avanti nella lotta alla mafia - ammette Fiammetta Borsellino - nel senso che ora se ne parla e i giovani hanno consapevolezza, ma non bisogna mai abbassare la guardia o prestarsi a facili semplificazioni». Perché le infiltrazione della criminalità organizzata proseguono e non riguardano solo il Sud d'Italia.
«Papà e Giovanni Falcone ci erano già arrivati nel 1992 - prosegue - sostenevano che per seguire la mafia bisognava rincorrere i poteri forti, quelli economici. Avevano avuto l'intuizione nel comprendere i collegamenti tra criminalità organizzata e appalti del Nord dove ci sono interessi finanziari consistenti». Ecco che per Fiammetta tenere viva la memoria è fondamentale. «Ma non è una semplice memoria, perché la memoria fine a se stessa non è sufficiente, deve essere abbinata alla denuncia per intraprendere un percorso di ricerca della verità. Una spinta quindi perché questo valore, che rientra tra quelli trasmessi da mio papà, non venga disatteso». Per questo Fiammetta, la più piccola dei figli di Borsellino, si sta dedicando anche a nome dei fratelli Lucia e Manfredi, a chiedere la verità dopo che una sentenza del 2017 parla di depistaggi nelle indagini della strage di via D'Amelio. E sostiene le iniziative che fanno conoscere ai giovani quanto accaduto «perché la vera lotta alla criminalità organizzata è creare un movimento culturale e morale di condanna». Grazie anche ad eventi come la mostra di Vicenza. Oltre a lei, presenti all'inaugurazione Luciano Tirindelli, il componente sopravvissuto della scorta del magistrato Giovanni Falcone, Francesco Trotta, presidente dell'associazione Cosa Vostra che assieme alla casa editrice Linea edizioni ha contribuito alla nascita di questa mostra, e il prefetto di Vicenza Pietro Signoriello.
Raffaella Ianuale
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci