Favolacce in scena a Berlino D'Innocenzo e la loro periferia

Mercoledì 26 Febbraio 2020
CINEMA
Favolacce è un film impietoso. Cupo. Nerissimo. È anche uno dei pochi film da Orso d'oro finora visti alla Berlinale, ma questo lo deciderà la giuria di Jeremy Irons, tra qualche giorno. Non è una sorpresa: la bravura dei due gemelli D'innocenzo (Fabio e Damiano), 32 anni a metà luglio, si era già manifestata nella loro opera d'esordio, La terra dell'abbondanza, proprio qui a Berlino, due anni fa; ma nessuno sospettava che il loro secondo lavoro, solitamente considerato il più ostico specie dopo una brillante partenza, fosse così già maturo, potente, coraggioso da lasciare un segno rimarchevole nella corsa ai premi. E a giudicare dall'intensità degli applausi al termine della proiezione stampa è un pensiero piuttosto diffuso.
Racconta la vita ordinaria di alcune famiglie, nella periferia spesso squallida, chiuse in agglomerati a schiera: luoghi di bugie e inganni, prevaricazioni e finte agiatezze, dove i genitori hanno preso coscienza dei loro fallimenti e i bambini cominciano a capire la vita che si manifesta, dove tutto è sospeso in una specie di apparente serenità pronta a esplodere: «Volevamo fare un american beauty ma senza l'american e soprattutto senza beauty. Un film che ci portiamo dentro forse da sempre, che abbiamo scritto a 19 anni, perché anche noi da bambini vedevamo cose crudeli e asfissianti e crescendo ci siamo accorti che non avevamo sbagliato. Sono presentimenti della vita, l'intuito dei bambini è spesso straordinario», spiegano un po' l'uno e un po' l'altro, ma è come se parlassero contemporaneamente.
DAI GRIMM A EDWARD
Favolacce si porta dentro di tutto: i fratelli Grimm e Edward mani di forbice; i villini lynchiani di Velluto blu e lo sguardo di Sergio Citti; Gianni Rodari e Italo Calvino; Raymond Carver e tutta la letteratura americana della provincia più buia; il Rossellini di Germania anno zero e Charlie Brown. Famiglie, io vi odio, diceva Gide: «Ma non c'è rabbia nei gesti dei bambini. Non so quante persone reputino la loro infanzia davvero felice, in un patriarcato che sfocia spesso nel machismo».
I BAMBINI E LE LORO SCELTE
I bambini sono l'elemento più struggente del film, che fa scelte narrativamente sconvolgenti: «L'infanzia è un'età complicata, perché non conosci le regole del gioco. I bambini prendono coscienza e scelgono da quale parte stare. Hanno dignità e in caso decidono di uscire. Non è stato facile fare delle scelte e poi metterle in pratica: con i bambini bisogna essere sempre molto prudenti. Per le scene più forti abbiamo aspettato l'ultimo momento per spiegare quello che stava succedendo e c'è chi si è messo a piangere».
C'è tanto silenzio in questo film così corale: «Sì il linguaggio verbale è sempre limitato, le immagini esprimono spesso meglio le cose. Silenzio e rumori sono contrappunti forti, che devono lasciare un segno». Come il film, che si porta dentro atmosfere e facce che non si dimenticano facilmente: «A parte Elio Germano, noi attingiamo dal teatro, che è spesso ignorato dal mondo del cinema e che al contrario noi amiamo moltissimo». In uscita in Italia il 16 aprile.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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