E Manin rinnegò Mazzini

Giovedì 17 Giugno 2021
E Manin rinnegò Mazzini
LA STORIA
Dal 12 maggio 1797, ovvero dalla caduta della Serenissima, sono passati 242 anni. Ce n'è stata di storia, eppure non ne abbiamo memoria, perché la memoria della Serenissima fagocita tutto. Proprio all'interno di quello spazio temporale si muove Mario Isnenghi, già docente di Storia contemporanea a Ca' Foscari e autore del libro Se Venezia vive. Una storia senza memoria, edito da Marsilio. Anzi, per la verità si ferma al secondo dopoguerra senza arrivare a tempi a noi troppo vicini. Il libro, che smentisce il celebre aforisma di Karl Kraus sulle capacità di scrittura degli storici («Gli storici sono persone che scrivono troppo male per poter scrivere su un quotidiano»), compie un esaustivo sorvolo sulla Venezia ottocentesca e novecentesca e sui personaggi che l'hanno popolata, sempre tenendo ben presente questo dualismo tra storia (tanta) e memoria (poca). Scelta che emerge già dalla copertina: la riproduzione di una tarsia in panno di Fortunato Depero che pur essendo una delle più belle rappresentazioni di Venezia non è una delle più fortunate.
LA RIFLESSIONE
«Tra la fine del Settecento», scrive Isnenghi nel libro, «e l'inizio degli anni trenta dell'Ottocento un terzo della popolazione va via da Venezia, fondamentalmente perchee crollato un tipo di economia: l'economia basata sul patriziato. Non che sia del tutto scomparso ci sono ancora due centinaia di famiglie patrizie con migliaia perciodi nobili , perola struttura economico-politica della Serenissima non c'è piu. Il minimo storico nella popolazione si raggiungerànel 1838. Etriste dirlo, ma allora, comunque, sono molti più che adesso: oltre 93 mila. Non solo i patrizi se ne vanno. Vanno via più facilmente i popolani dalle loro case invivibili, come ha continuato ad avvenire per diverse generazioni, fin ben dentro al Novecento: l'esodo, con le sue complesse motivazioni e i gravi effetti per la tenuta della civitas. Un modo aneddotico, pittoresco, simpatico pero vero di riassumere la caduta è fare riferimento ai gondolieri: ogni grande famiglia possedeva una gondola. Erano 2854, precipitano a 297». Ce ne sono di cose da studiare, da dire, ci sarebbe materia di discussione. Invece no.
IL 1848
«Basti pensare», osserva Isnenghi, «alla memoria di quella cosa complicatissima che è stato il 1848 a Venezia. C'è un divario totale i fatti avvenuti nel 1848-49 e la memoria che se ne è depositata. Sono stati quindici mesi di avvenimenti intensissimi, eppure la grande memoria della Serenissima se li è mangiati». E c'è pure di più: la memoria dell'insurrezione veneziana era scomoda, perché la Venezia insorta è repubblicana e invece è una monarchia l'Italia che riceverà dopo diciotto anni quella Venezia. «È la storia di una memoria dimenticata», afferma Isnenghi, «e il primo a vergognarsene è proprio Daniele Manin che rinnega Mazzini e i repubblicani. Preferisce una rivoluzione di centro, una rivoluzione che nei primi giorni tende a restare un minuetto, col governatore austriaco che guarda dalle sue finestre di piazza San Marco i veneziani che insorgono. Invece le stampe ci mostrano che c'è una rivoluzione più violenta, più sanguinosa. Venezia resisterà all'austriaco a ogni costo».
NESSUN ABBANDONO
Quello che al prof. Isnenghi proprio non va giù è il concetto di «Venezia mendìca» che si fa largo dopo il 1866, ovvero all'indomani dell'unione al Regno d'Italia. Venezia era rappresentata coma una poveraccia costretta a mendicare. «Ma dov'è questa mendicità?», sbotta, «era già stata fatta la Venezia-Milano, c'era già il Lido», insomma Venezia non era affatto mendìca, ma vivace e ben cosciente del ruolo che poteva svolgere. «Per quale motivo i cittadini del Regno d'Italia si figurano una Venezia bisognosa e con la mano tesa?». E anche sulla ferrovia tra Venezia e Milano, inaugurata nel 1846, Isnenghi rivela un particolare che ai nostri occhi appare un po' come il mondo alla rovescia: a volere fortemente la nuova linea erano i pigri veneziani, mentre i dinamici milanesi si mostravano molto più titubanti. Secondo i milanesi il porto di Venezia era condannato «a esercitare soltanto un commercio di seconda mano, sia per le mutate circostanze sia per il carattere dei veneziani». E Isnenghi si chiede: «Il carattere dei veneziani! Chissa come si era formato, da quando, da quale anti-immagine fasulla della citta originava questo presupposto del carattere poco dinamico dei veneziani?» Si potrebbe aggiungere che a oltre un secolo e mezzo di distanza non molto è cambiato, visto che oggi i milanesi considerano i veneti come «terroni del nord».
IMPRENDITORI E MANAGER
Una Venezia che ha avuto grandi sindaci: Riccardo Selvatico, esponente di quello che oggi chiameremmo centro sinistra, e Filippo Grimani, suo avversario politico del centro destra. È Selvatico a inaugurare la prima esposizione d'arte, nel 1895, ma è Grimani a svilupparla a farla diventare la Biennale come la conosciamo oggi. Una Venezia in grado di generare anche politici di prima grandezza, come Piero Foscari, capo dei nazionalisti, poi confluiti nel fascismo, e Luigi Luzzatti, l'unico presidente del consiglio veneziano che ci sia mai stato; oppure una donna come Margherita Grassini Sarfatti che influenza sia l'arte, sia la politica del XX secolo. La Sarfatti è cofondatrice del Novecento, corrente artistica che succede al Futurismo, e del fascismo, assieme a Benito Mussolini che lei educa alla romanità e del quale scrive la biografia Dux, primo vero bestseller italiano. E ancora Venezia dà i natali a Maria Pezzé Pascolato, pedagogista e fondatrice della prima biblioteca per ragazzi in Italia.
È una storia anche di idee, sottolinea Isnenghi, come quella del rapporto tra terra e acqua. «Dovunque è laguna, lì è Venezia», diceva Piero Foscari. «Perché dobbiamo vedere Mestre come inizio della terraferma anziché come margine della laguna?» chiosa Isnenghi, «nell'Ottocento si fa strada l'idea che non si tratti di un altro mondo, ma dell'altra sponda dello stesso mondo. Venezia è anfibia, fino a dove lo è? Dove comincia la terraferma? Anche Padova e Treviso erano città d'acqua».
IL FUTURO
E adesso? «Venezia deve continuare ad avere a che fare con le navi, senza navi Venezia non è concepibile. Allora teniamole in mare: ci sono già stati troppi sproloqui a proposito. La Serenissima del 2021 deve affrontare il problema delle navi, ma deve risolverlo; non è che nel passato tutto si risolvesse senza contrasti, solo che poi si trovava una soluzione». Il senso del libro di Isnenghi alla fin fine è proprio questo: «Anche a Venezia, nell'Otto e nel Novecento, si e vissuto. Non sempre in gramaglie, non solo nel solco del non piu, mai piu. Una retroversione che diventa cosi si invalidante quando travalica da genere letterario La morte a Venezia a criterio interpretativo». Venezia, a dispetto, di tutti, resta viva.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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