«E Luisa lanciò D'Annunzio dalla finestra»

Sabato 15 Agosto 2020
LA STORIA
Un gatto grigio, una anziana insegnante di pianoforte piegata dall'artrosi e dal peso dei ricordi, un carillon, due pianoforti pieni di vecchie fotografie in cornice: tra i volti, quelli di Vittorio Emanuele III, delle principesse di casa Savoia e del Comandante, così come veniva appellato dalla signora senza essere mai nominato. Sono i ricordi ancora vividi di Anna Lazzarini, che è diventata pianista professionista sotto la prima guida di quell'insegnante, Luisa Baccara, e che bambina divenne inconsapevole depositaria di alcuni segreti della vita della donna, non ultimo quello del Volo dell'Arcangelo, la rovinosa caduta di Gabriele D'Annunzio da una finestra del Vittoriale, avvenuta la sera del 13 agosto 1922. Sul quale, a distanza di quasi un secolo di ipotesi e illazioni, è forse possibile fare definitivamente chiarezza: fu infatti lei stessa a confessare di aver spinto D'Annunzio dalla finestra.
A quel tempo Luisa Baccara era la Signora del Vittoriale, e già da alcuni anni viveva con D'Annunzio un'inebriante e difficile storia d'amore che l'aveva portata a suonare nel 1919 per i legionari a Fiume, al tempo della conquista della città, per poi sopportare un progressivo e umiliante deterioramento del rapporto; ma la veneziana, nata il 14 gennaio 1892 e divenuta alla vigilia degli anni Venti la rivelazione del Conservatorio Benedetto Marcello (apprezzata anche da Arturo Toscanini), nascondeva una forza imprevedibile sotto una coltre di apparente remissività, che le permise di resistere con ostinazione all'ondata di gelosia e rivalità che la sua presenza assidua al Vittoriale (allora Villa Cargnacco, a Gardone) le attirò addosso.
Quando conobbe Gabriele D'Annunzio aveva ventisei anni, era alta e snella, aveva capelli neri sui quali faceva correre una lunga ciocca d'argento. Lui aveva quasi trent'anni più di lei; era già l'eroe di Buccari e del Volo su Vienna. L'aveva ascoltata suonare nell'agosto del 1919 a casa di una amica e più tardi le aveva scritto una lettera d'invito alla Casetta Rossa lungo il Canal Grande, indicandole anche gli abiti che avrebbe dovuto indossare. La prima di millesettecento e ottanta lettere, che le scrisse fino al momento della morte, nel 1938.
Smikrà, piccola in lingua greca, la chiamò sempre lui, ricevendo in cambio il suo antico soprannome di Ariel. Luisa Baccara fu una persona sfuggente a qualsiasi etichettatura: dolce e aggressiva allo stesso tempo, apparentemente fredda al punto da risultare antipatica, possessiva eppure capace di sopportare qualsiasi libertà (non furono poche) D'Annunzio ritenesse di prendersi, anche sotto lo stesso tetto del Vittoriale. Tranne una. L'incidente avvenne due giorni prima del previsto storico incontro di avvicinamento di Mussolini al poeta, e tenne D'Annunzio sospeso tra la vita e la morte per molti giorni. La versione ufficiale parlò di caduta accidentale dovuta a un capogiro mentre il Vate (che era in pigiama e pantofole) cercava un po' di fresco nella serata afosa; ma le illazioni non mancarono: tentativo di suicidio, fatto doloso, addirittura che fosse stato tutto inventato e la caduta non ci fosse mai stata.
D'Annunzio, appoggiato alla finestra, stava ascoltando della musica suonata per lui da Luisa. Aveva accanto la sorella della pianista, Jolanda. La caduta che comunque fu accidentale, si ritenne successivamente causata da una spinta datagli da una delle Baccara: da Jolanda, forse per opporsi a un approccio indesiderato, oppure dalla stessa Luisa, intervenuta per gelosia. Otto giorni più tardi, ancora in stato di semi-incoscienza, il poeta mormorò una frase che fu diligentemente appuntata dal medico curante: E Joio? Jolanda si sarà spaventata e sarà scappata a Venezia. Un indizio significativo di quanto era avvenuto davanti a quella finestra. Ma nessuno, tra i presenti di quella sera, parlò. Ci provò anche Giovanni Minoli a chiederlo alla Baccara in una intervista per Mixer, nel 1984, pochi mesi prima della morte ma la pianista decise di portare con sé il segreto nella tomba.
Ma quella verità l'aveva in realtà già rivelata a una bambina, qualche anno prima: Anna Lazzarini, entrata per la prima volta nella casa di Luisa Baccara a sei anni, e che solamente più tardi intuì l'importanza di quella rivelazione.
«Nel tempo ero diventata la sua nipotina ricorda oggi la Lazzarini ; e io attendevo la fine di ogni lezione perché assieme a un bicchierino di rosolio c'era sempre una confidenza, un racconto, la narrazione di una qualche vicenda di un passato straordinario del quale non poteva evidentemente parlare a nessun altro e che sentiva la necessità di raccontare a qualcuno: come una bambina, per esempio, che la ascoltasse e non la giudicasse. Consegnò così a me le confidenze di un passato che lei non voleva far passare. Storie nelle quali il Comandante era sempre presente».
Come era arrivata a studiare dalla Baccara?
«Sono la figlia di Ezio Lazzarini, che è stato per oltre 35 anni primo maestro di sala alla Fenice, e che da studente con Eugenio Bagnoli aveva avuto la ventura di interpretare per lei un brano di Giuseppe Martucci, compositore molto in voga allora e molto stimato dalla Baccara, in occasione del centenario dalla nascita. Si trattava de La Tarantella che lo stesso musicista si narrava come una leggenda diffusa nell'ambiente musicale veneziano le aveva a suo tempo dedicato; lo spartito fu consegnato a mio padre dalla stessa Baccara. Quando iniziai le lezioni era il 1976; ebbe anche altri allievi dopo di me, ma io fui l'ultima sua allieva che tenuta a battesimo da lei arrivò a conseguire il diploma».
Come era Luisa Baccara, allora?
«Era già molto anziana e piegata dall'artrosi, al punto che non riusciva ad alzare il capo e per guardarmi doveva spostare la testa di lato. Aveva ancora moltissimi capelli, completamente bianchi, raccolti con un fermaglio d'osso; occhi mobilissimi, i tratti del viso molto marcati; eppure, malgrado le mani nodose, suonava ancora. Si aveva costantemente l'impressione di stare di fronte a una persona che sapeva il fatto suo, nonostante il peso degli anni: gli occhi, il volto, trasmettevano tutto il suo passato. Ed era una insegnante esigentissima, che chiedeva sacrificio: qualche volta me ne andai in lacrime. Ma non mancava di lasciare per me un sacchettino di caramelle, alla pasticceria sotto casa. Nella vita ho fatto la pianista anche grazie a Luisa Baccara: se non ci fosse stata lei probabilmente non avrei mai fatto la professione».
Come era la casa?
«Già varcando il piccolo ponte privato di rio dei Nomboli, dal quale si accedeva all'abitazione, avevo l'impressione di entrare in un romanzo; lì tutto sapeva di antico, venivi immediatamente catapultato nel passato: l'arredamento, lei stessa, i quadri, tutto ciò che ti circondava non era di questo mondo. Era tutto rimasto inalterato a un passato nel quale si era fermata. Io suonavo con le foto dei reali sul piano; alla parete era appeso il manifesto del concerto per i legionari di Fiume, e un quadro di lei in abito rosso... Luisa Baccara abitava da sola, con l'inseparabile gatto Fuffi al quale era legatissima».
E D'Annunzio?
«Era onnipresente. Non lo chiamava mai per nome: in mia presenza era solo il Comandante. Non c'era giorno in cui la incontrassi che non mi facesse vedere un carillon, che aperto lasciava leggere una dedica incisa sul legno: A Luisa teneramente, tener a mente. Gabriele. Ma avevo sei anni, nessuno mi aveva detto nulla. Ho messo insieme questo mosaico di ricordi incredibili, nei quali spuntava sempre il comandante, molto più tardi. Ne parlava ancora con tenerezza e ardore. Ed era ancora pronta a difenderlo, anche in occasione del racconto del Volo dell'Arcangelo».
Cosa le raccontò, di mai detto ad altri?
«Eravamo nella seconda stanza, quella delle lezioni normali dove stava il pianoforte di studio (l'altro, un Bechstein, stava nella stanza del comandante ed era per le occasioni particolari). Lì su una mensola stava la mia foto, unica a colori tra le altre in bianco e nero, con accanto quella della sorella Jolanda. Parlava sempre di Jole con grande affetto e senso di protezione, e quel giorno il racconto proseguì nella stanza del comandante. Mi raccontò della visita agostana della sorella al Vittoriale: Jolanda aveva portato con sé il violino; verso sera, mentre erano nella stanza della musica e lei stava suonando il pianoforte, D'Annunzio insidiò pesantemente la sorella che stava seduta accanto a lui, alla finestra: mi trovai costretta a intervenire e proteggerla anche in quella situazione, addirittura contro il comandante. Lo spinsi fuori dalla finestra, mi disse».
Una verità nascosta per una vita intera, che emerge a quasi un secolo esatto da quei fatti. Luisa Baccara morì il 29 gennaio 1985 al Fatebenefratelli, dimentica di tutto e di tutti. Ma quasi certamente non del suo Comandante al quale nel bene e nel male aveva consegnato tutta se stessa, ardendo per sempre di quella stessa passione che, in fondo, l'ha consegnata alla storia.
Alberto Toso Fei
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci