«Da Stettino sul Baltico, a Trieste sul Mediterraneo, una cortina di ferro

Sabato 29 Febbraio 2020
«Da Stettino sul Baltico, a Trieste sul Mediterraneo, una cortina di ferro è scesa attraverso il Continente. Dietro quella linea stanno tutte le capitali dei vecchi stati dell'Europa centrale e orientale, Varsavia, Berlino, Praga...». Con queste famose parole pronunziate all'Università di Fulton in Missouri il 5 Marzo 1946, Winston Churchill avvertì il mondo del pericolo stalinista che stava chiudendo mezza Europa in una morsa spietata. Le rievochiamo ora, nell'imminenza dell'anniversario, per riflettere sul passato e magari sul presente con un occhio al futuro.
Churchill era il vincitore morale del conflitto, perché dopo la sconfitta della Francia nel 1940 aveva affrontato da solo la Germania nazista con la quale l'URSS, dopo il patto Ribbentrop-Molotov, era sostanzialmente alleata. Quando, nel 1941, Hitler invase la Russia, il grande statista inglese, benché irriducibile anticomunista, disse che se Hitler avesse invaso l'inferno avrebbe parlato bene del diavolo, e andò subito in soccorso al rivoluzionario dittatore. Poi intervennero gli Stati Uniti, e arrivò la vittoria. Alla conferenza di Yalta, nel 1945, la Gran Bretagna si presentò ormai priva di risorse militari e Roosevelt di quelle psicofisiche, cosicché Stalin strappò il consenso a una zona di influenza nell'Europa centro-orientale. Una volta arrivata l'Armata Rossa, la zona di influenza diventò zona di occupazione.
L'ERRORE
Churchill sbagliò su Trieste, perché Tito stava già progettando di staccarsi dalla morsa di Stalin, ma per il resto fu lungimirante. In tutte le altre nazioni liberate dai sovietici, il comunismo sarebbe andato presto al potere con la violenza o la frode, istituendo regimi fantoccio retti da fedeli esecutori del satrapo moscovita. La cortina di ferro segnò così il limite tra le democrazie occidentali e quello che Reagan avrebbe definito L'impero del male, dove si consumarono repressioni spaventose condotte da polizie onnipresenti e spietate. Le libertà civili e religiose furono soppresse, e i dissidenti spediti alla forca o nei gulag. Quando le proteste diventarono rivolte, come a Berlino nel 53, a Budapest nel 56 e a Praga nel 68, intervennero i carri armati. La Cortina di ferro era diventata una prigione di cemento.
Il discorso di Fulton non era improvvisato. Frutto di una lunga meditazione, era stato sottoposto all'Ammiraglio Leahy, consulente di Truman, al segretario di Stato Byrnes e infine allo stesso presidente americano, che lo trovò admirable. Con questo viatico, sir Winston si presentò all'assemblea con l'energia di sei anni prima, quando aveva pronunciato quei Great war speeches che gli sarebbero valsi la gloria nella Storia e il Nobel della letteratura.
Churchill non si limitò a denunciare la cortina di ferro. Come aveva fatto - inutilmente - negli Anni Trenta nei confronti di Hitler, ammonì gli alleati delle mire imperialistiche della Russia, che - disse «Non vuole la guerra, ma i frutti della guerra, e l'infinita espansione del suo potere e delle sue dottrine». Con quel regime, aggiunse, bisognava venire a patti, ma trattando una posizione di forza, perché «non c'è nulla che Stalin ammiri più della forza, e nulla che disprezzi più della debolezza, soprattutto quella militare».
IL CONCETTO
Per chiarire il concetto, Churchill affermò di lì a poco, in un'altra occasione, che «la pace non si preserva con i pii sentimenti banali, ma con lo scudo e la spada». Il mondo pacifista inorridì, e riprese la lamentosa litania dell' appeasement che aveva già provocato la catastrofe di Monaco. I comunisti accusarono Churchill di essere un ubriacone guerrafondaio e qualcuno si spinse alla bestemmia di definirlo (lui!) un fascista. Ma Stalin ritirò le sue truppe dalla Persia e smise di molestare la Grecia. Churchill ritornò a scrivere le sue memorie, e la cortina di ferro fu rinforzata con i campi minati.
Questo muro resse per quarant'anni, e nel bene e nel male salvaguardò almeno la nostra pace. Le due superpotenze, con i rispettivi blocchi militari, erano come i due famosi scorpioni nella bottiglia: nessuno dei due, attaccando l'altro, sarebbe comunque sopravvissuto. Le guerre furono condotte per procura in Corea, in Vietnam, in Malaysia nel centro dell'Africa e altrove, con alterne vicende e precari armistizi. Ma l'Europa, per la prima volta in duemilacinquecento anni, conobbe un periodo di tranquillità. La corsa agli armamenti fu costosa, ma produsse il suo effetto: la deterrenza, più che la buona volontà, elimina o riduce le aggressioni.
Durante gli Anni Ottanta, la cortina mostrò qualche cedimento. L'eccezionale personalità di Karol Wojtyla e la determinata strategia di Ronald Reagan rivelarono un'inattesa vitalità dell'Occidente, frustrato dall'esperienza nel Vietnam e dalla remissività di una cultura irenistica e rinunciataria. Indebolita dalla sconfitta in Afghanistan, l'URSS si affidò a un prudente riformatore, e Michail Gorbaciov iniziò quell'opera di «trasparenza e ricostruzione» che accelerò la dissoluzione del comunismo sia come forza politica sia come ideologia. Quando nel Novembre dell' 89 cadde il muro di Berlino, l'intera cortina si sbriciolò.
Questo muro invalicabile non fu più imitato, e la globalizzazione mondiale ne rende difficile una replica. Esso può invece ripresentarsi sotto altre forme, meno evidenti, ma forse più insidiose. I muri non si costruiscono solo per evitare che la gente esca - come avvenne per la cortina di ferro e per tutte le prigioni - ma anche per impedire che il pericolo entri: così hanno fatto i cinesi con la grande muraglia , i romani con il vallo adrianeo, via via fino alla Chiesa con i bastioni della città Leonina e l'imprendibile Castel Sant'Angelo, che protesse Clemente VII dall'ira dei Lanzichenecchi.
PROTEZIONE
Così, noi possiamo intravedere nuove forme di protezione, dettate da esigenze reali. Già oggi la diffusione del virus Corona ripropone cortine sanitarie interne e internazionali. Probabilmente nel vicino futuro il problema sarà di un altro tipo. Secondo i più affidabili modelli matematici, la vera emergenza dei prossimi trent'anni sarà l'esplosione demografica dell'Africa, dove la popolazione aumenta in modo esponenziale. La sola Nigeria la raddoppierà arrivando a mezzo miliardo di abitanti. L'Europa e il mondo costruiranno altri muri? Difficile che funzioni. Faranno allora dei ponti? Sarebbe un'incontrollata invasione planetaria. Forse la contrapposizione tra ponti e muri è inidonea ad affrontare il problema, e dovrebbe essere sostituita da una razionale politica di controllo demografico. Ma anche questo è un terreno insidioso: perché le cortine più difficili da abbattere sono quelle dei pregiudizi e dell'emotività.
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