«Curiosa come un topo»

Mercoledì 12 Dicembre 2018
«Curiosa come un topo»
L'INTERVISTA
Curiosa «come i bambini, come i topi», e pur sognando un libro da leggere davanti al caminetto, non riesce ad evitare di farsi trascinare nelle avventure più «avventurose. Sono sempre felice di partire, alla fine». Proprio come il suo Geronimo Stilton. Alla soglia dei 60 anni, Elisabetta Dami ha attraversato più vite della sua creatura di carta: ha scalato il Kilimangiaro a 5.895 metri, ha fatto trekking in Nepal, ha preso il brevetto di pilota d'aereo, attraversato Africa, Australia, Polinesia, States, seguendo pure un corso di sopravvivenza nel Maine, «marcia per 11 giorni con lo zaino a 25 gradi sottozero». E poi una maratona nel deserto, «120 chilometri in 4 giorni e mezzo, con un caldo pazzesco, da colpo di calore, ma sono arrivata fino in fondo», e pure quella di New York, «ci ho messo sei ore e mezza, ma non ho mollato. Con me due amici maratoneti che mi hanno accompagnato nell'impresa». Perché il suo segreto è tutto qui, «mai mollare, meglio se aiutati dagli amici», l'unione fa sempre la forza.
Figlia d'arte editoriale (suo padre Piero è stato il fondatore della Dami), la mamma di Geronimo Stilton, il topo più famoso al mondo dopo Mickey Mouse, con 180 milioni di copie vendute, tradotto in 40 paesi, si prepara ad approdare a Treviso come madrina della Tiramisù Cup Junior in programma sabato e domenica. Poi, instancabile com'è, partirà per l'Africa centrale, a visitare la riserva dei gorilla di Dzanga Sangha, e quindi, in Bhutan, il parco nazionale di Royal Manas, santuario delle tigri.
Ma non si ferma mai?
«Sono nel consiglio nazionale del Wwf, la mia grande passione per la natura mi porta a viaggiare. Sono felice di poter raccontare le mie esperienze con il Wwf, e spero di trasmetterle ai ragazzi».
Il nome Geronimo Stilton ha una genesi curiosa...
«Anni fa ho seguito un corso paracadutismo, mia sorella e miei amici mi chiamavano Geronimo, il grido di battaglia dei paracadutisti americani. Quindi ho pensato a Geronimo quando cercavo il nome per un topo timido, tenero, pasticcione, fifone ma resiliente, sostanzialmente buono e generoso, che crede nell'amicizia, nel fare cose insieme agli altri. Come accade nel Wwf. Bello unire le forze, il risultato migliora».
È vero che il cognome Stilton nasce da un formaggio?
«Sì, un formaggio inglese, una sorta di gorgonzola un po' più piccante. Ho visitato il villaggio di Stilton, in Inghilterra dove lo preparano secondo il sistema del 1700. Affascinante».
Geronimo ha già vent'anni...
«Siamo alla terza generazione di lettori. Ha la sua età, Geronimo. È nato negli anni Novanta: quando ho scoperto di non poter avere figli, mi sono ispirata a Patch Adams, al medico del sorriso. Ho voluto trasformare una sofferenza in modo che diventasse qualcosa di buono, per me e gli altri. Volevo inventare storie avventurose e umoristiche, ma con un lieto fine, anche esagerato, perché i bambini lo vogliono. Si chiama speranza».
Mai immaginato tutto questo successo? 180 milioni di copie fanno quasi paura.
«Ma no, sono e resto una persona normale. E quando qualcosa mi emoziona, cerco di comunicarlo. Se si tratta di una cosa triste, la trasformo, o la racconto perché tutti insieme possiamo trovare soluzioni. Parlandone».
Parlare è il segreto?
«Sì, ma insieme. E con gentilezza. Un valore importante. Ai bambini cerco di spiegare che con piccoli gesti di quotidiana gentilezza tutti ne guadagnano. La gentilezza migliora la nostra vita e quella degli altri. È un valore che oggi viene sottovalutato, invece è un piccolo segreto che andrebbe applicato tutti i giorni dell'anno. I bambini non lo sanno perché non hanno esperienza, ma noi che siamo adulti abbiamo la responsabilità di comunicarlo».
Come lavora il team Stilton?
«Siamo in tantissime persone. Io scrivo già in forma di sceneggiatura, poi ci sono i disegnatori, i grafici che impaginano e poi stampatori, distributori, i librai, fondamentali, danno la possibilità che il messaggio arrivi ai bambini. E poi ovviamente ci sono i lettori che, scegliendo il libro, danno il senso finale allo sforzo di tanti».
Tutto interconnesso.
«Ed è meraviglioso. L'umanità è una grande famiglia. E dobbiamo cercare di andare d'accordo tra di noi. Il segreto della pace è ricordarsi che siamo tutti grande famiglia».
Sul tiramisù ha scritto un'avventura nel 2005, ora arriva in giuria alla World Cup Junior.
«Avevo scritto Lo strano caso del tiramisù. Adoro il tiramisù, e amo prepararlo. Per pochi ma anche per cento persone».
Addirittura?
«Sì, mi sono fatta preparare un vassoio grandissimo, uso la ricetta della nonna di una mia amica, semplice, ma esige pazienza. Così chiudo la porta e mi dedico solo al tiramisù, è quasi una cosa zen. Assemblo ingredienti che messi insieme creano un piccolo gesto di poesia quotidiana. Mi piace preparalo per gli amici, condividerlo. Il mio tocco personale sono i lamponi, li metto alla fine, sopra il cacao, mi piace il contrasto dei colori. E il savoiardo? Mai troppo inzuppato nè troppo secco».
Doveva partecipare come concorrente alla Tiramisù World Cup lo scorso anno, poi però non è venuta.
«Sì, giusto quel giorno ero alla maratona di New York. Che ho dedicato ai ragazzi disabili della cooperativa Il Granello di Cislago. Quest'anno l'organizzatore Francesco Redi mi ha voluto in giuria, e sono molto contenta. Anche con lui una storia di amicizia e stima: riesce a far conoscere questa bella tradizione italiana in tutto il mondo. C'è questo concetto di condivisione di un piccolo tesoro. E mi piace far parte di qualcosa che è condivisione».
Mai un momento di stanca?
«Mah, ogni tanto mi chiudo da qualche parte per ricaricarmi, adesso sono al mare con amici. Le passeggiate in riva al mare, guardando le onde, mi fanno capire quanto meravigliose siano vita e natura, e quanto spetti a tutti a noi la responsabilità di conservarla. Perché il futuro della terra dipende dalle nuove generazioni. E da noi che abbiamo la responsabilità di insegnare loro».
Firmerà mai un libro di Geronimo Stilton?
«Mai dire mai... Ma non credo. Il messaggio è più importante di tutto, anche di chi lo trasmette. L'importante è che quando mandi un messaggio dal tuo cuore, arrivi al cuore dell'altra persona. Solo questo conta».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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