Così il Doge si affidò a San Marco

Martedì 27 Aprile 2021
Così il Doge si affidò a San Marco
LA STORIA
Venezia si chiama ancora Rivus Altus ed è fresca di trasloco in laguna quando scoppia un brutto pasticcio. In pieno tira e molla tra Impero e Bisanzio, il Concilio di Mantova dell'827 stabilisce la supremazia del patriarcato di Aquileia, filoimperiale, su quello filoveneziano di Grado. Venezia non ci sta: non vuole finire in bocca all'Impero che non vede l'ora. Giovane ma già dotata di creatività da vendere, trova una soluzione strategica perfetta: Il santo patrono sarà San Marco, colui che inviato da San Pietro ha ordinato il primo vescovo di Aquileia, Sant'Ermagora, quindi vanta una supremazia spirituale sul patriarcato.
GLI INIZI
San Marco, martire veneratissimo ad Alessandria, ha un curriculum impressionante. Oltre al primato sull'irrequieta Aquileia, è l'unico tra i quattro Evangelisti ad aver visto personalmente Gesù, seppure fuggevolmente: è lui il ragazzino che scappa nudo saltando il muro dell'Orto dei Getsemani. Diventerà il discepolo prediletto di San Pietro che lo chiama addirittura filius, secondo San Paolo. Per la tradizione cristiana, San Marco ha scritto il suo Vangelo sub dictatione Petri, quindi se non è il principe degli apostoli, poco ci manca.
LA MISSIONE
Il dux Giustiniano Parteciaco invia un vero e proprio commando ad Alessandria che con un'operazione ben calcolata tramandata come una divina casualità si impadronisce delle sante reliquie. San Marco assume subito il controllo: si farà sbarcare proprio al castello del dux, diventando di fatto dominus, padrone prima che patrono della neonata Venezia. Il dux, poi doge, da allora sarà solo il suo rappresentante in terra. Il Santo è un comunicatore così forte da rappresentare fin da subito una aperta dichiarazione di indipendenza.
Passano i secoli, Venezia cresce e la figura del Santo sarà arricchita da miti diversi e complementari. Nel Trecento arriva il doge Andrea Dandolo ed ecco comparire due trittici di leggende: le storie dei tre anelli ma soprattutto i tre miti della Translatio, della Apparitio e della Praedestinatio. Quest'ultimo è forse il più importante: è l'angelica profezia che confermerà l'appartenenza dell'Evangelista a Venezia. È un genio della comunicazione il doge Andrea Dandolo, che nel 1350 apre la sua Chronica per extensum descripta con una Annunciazione. San Marco, colto dalla solita tempesta di origine divina mentre naviga da Aquileia ad Alessandria, ha trovato riparo a San Francesco della Vigna, proprio dove oggi sorge una cappelletta (che sarebbe giusto restaurare come meriterebbe). Un Angelo gli appare in sogno e gli dice Pax Tibi Marce, Evangelista meus, hic requiescet corpuus tuum. San Marco si spaventa: ma come, morirò qui ed adesso? Al che l'Angelo lo rassicura e gli predice il futuro suo e dei Veneziani, che lo venereranno e grazie ai meriti e alle preci plurima beneficia consecuturi sunt, ne avranno moltissimi benefici.
IL MITO
È una vera e propria Annunciazione scritta a regola d'arte: del resto il testo di Andrea Dandolo è abilmente ricalcato da quello dell'Annunciazione di Maria dal Vangelo di San Luca, rafforzando quindi il parallelo tra Cristo e Venezia. Non solo, si riprende e si fortifica il mito della fondazione nel giorno dell'Annunciazione del 421, dove Venezia è concepita lo stesso giorno di Gesù. Come se non bastasse, il Dose Cortesìn aggiunge un vero colpo di genio, che è ancora sotto i nostri occhi: la scritta nel libro. Ancora oggi si discute se questo sia il Vangelo o no.
Bene, dopo lunghi studi possiamo sciogliere il nodo con una risposta precisa: lo è e non lo è. Sembra un paradosso Zen ma in realtà è semplice. È il Vangelo perché il Leone marciano è mutuato dal Tetramorfo, l'antichissima immagine dei quattro sacri animali che prima Sant'Ireneo da Lione e poi San Girolamo attribuiranno agli Evangelisti. San Marco è il leone, sempre raffigurato col Vangelo chiuso ben stretto tra le branche. Quindi non si discute. È il Vangelo.
L'ESCAMOTAGE
Però non sembra esserlo perché nel brand veneziano prima di tutto il libro è aperto e poi mostra una scritta per nulla evangelica, anche se noi la riconosciamo benissimo.
Ecco la trovata di Andrea Dandolo. Nel libro che San Marco in forma de lion a partire proprio dal 300 mostra a tutti ben aperto, c'è la profezia ma non completa: solo Pax Tibi Marce, Evangelista Meus. È la parte più importante, perché così il meus non è più detto dall'Angelo ma dal popolo veneziano e l'Evangelista diventa quindi mio, proprio mio, di ogni veneziano. È la conferma della Praedestinatio e una fiera dichiarazione di appartenenza che diventerà sempre più segno e sostegno dell'indipendenza di Venezia, politica e perfino religiosa: tutte le chiese della pur cristianissima Venezia faranno capo alla cappella ducale, la futura basilica di San Marco, e non a Roma. Tutte salvo una, San Giorgio Maggiore, contentino dato al papato. Come del resto si diceva ironicamente: i veneziani amano troppo San Marco, troppo poco Dio, per niente il Papa. Perché, non è giusto così?
Pieralvise Zorzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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