«Così al Puskin svelo l'anima della pietra»

Giovedì 17 Maggio 2018
«Così al Puskin svelo l'anima della pietra»
L'INTERVISTA
Le mani di Fabrizio Plessi si muovono nell'aria. Danno il senso dell'entusiasmo e della nuova avventura che si prepara. Le dita fendono l'aria, l'acchiappano e la liberano. I grandi finestroni del suo studio nello storico edificio dell'ex Birreria Dreher alla Giudecca fanno penetrare un luce ficcante che illumina gli oggetti dell'artista: le sedie, i libri, iL tavolo di lavoro, le migliaia di pennarelli ognuno di un colore diverso. Qui si crea. E l'atmosfera lo rende palpabile. Plessi si sta preparando per un appuntamento importante: una mostra personale al Museo Puskin di Mosca. Qui, il 5 giugno prossimo inaugurerà L'anima della Pietra, un'esposizione a cura di Giuseppe Barbieri, Silvia Burini e Olga Shishko, con il sostegno e la collaborazione del Centro studi sulle arti in Russia (Csar) dell'università Ca' Foscari di Venezia, la Fondazione Peruzzo e l'istituto italiano di Cultura di Mosca. Lo stesso 5 giugno si terrà sempre nella capitale russa anche un convegno internazionale dedicato al Rinascimento. Una mostra che rappresenterà l'Italia, anche se un'altra Italia, quella pedatoria, non sarà presente. «Già - sottolinea allargando le braccia - questa mostra era stata ipotizzata contemporaneamente alla presenza della nostra Nazionale di calcio per i prossimi Mondiali. In una battuta potrei dire che siamo fuori con i piedi, ma dentro con la testa». Un progetto che è una sfida tecnologica e artistica. Antico e moderno. Computer, anzi metal detector, e Rinascimento italiano.
Maestro, i classici uniti al mondo contemporaneo. Una situazione ideale per Fabrizio Plessi.
«Michelangelo - rivela - diceva che l'arte si annida dentro il marmo. E che l'artista deve solo estrarla dalla pietra. Io, idealmente, mi rifaccio a questa intuizione. Al Puskin, attraverso 16 busti, fedeli copie di originali antichi, racconterò questo rapporto che sarà il cuore della mostra. Da qui ne scaturisce anche il titolo: l'anima della pietra. A queste opere ho unito la tecnologia che consente di trasferire l'anima di queste sculture attraverso il gioco offertoci da un metal detector».
In pratica si invita l'osservatore a cogliere l'essenza di quella statua, ad entrare nelle viscere del marmo...
«Se ne potrà cogliere l'anima, andare oltre la superficie. Giungere al cuore dell'opera tanto da restituirci un intimo assetto formale. È un'indagine che si offre al visitatore attraverso un gioco di specchi, che fa sempre tutto più vero del vero».
Però il metal detector offre un'immagine in negativo...
«Posso rispondere con alcune frasi di una mia riflessione recente. Un elemento d'oggi come il metal detector potrà portarci a scoprire qualcosa di più alto. Ci farà forse avvicinare ai territori dell'arte e ci aiuterà a penetrare magicamente nel profondo delle sue radici. È qui l'essenza del tutto».
E come si unisce tutta questa contemporaneità con il lavoro su Giulio Romano e la sua Caduta dei Giganti al Palazzo del Tè di Mantova. Perchè la scelta di un artista rinascimentale esportandola in Russia?
«In una delle sale messe a disposizione dal Puskin vi sarà ancora una meditazione sui miti antichi che idealmente richiama la Metamorfosi di Ovidio. E qui si entrerà in dialogo con un altro elemento a me caro: l'acqua come allusione ad un primordiale diluvio. Le acque si riflettono e si specchiano nei monitor (ed ecco ancora la tecnologia) dell'installazione indicandoci una storia di conflitti, di crisi e di rinascite. Una metafora, ma neanche tanto, dei tempi che stiamo vivendo».
Si tratta della sua prima mostra in terra russa?
«L'anno scorso ne avevo fatto una a San Pietroburgo, ma essere al Puskin mi fa entrare nel cuore vero di quel Paese. E sono molto emozionato. Dopo tanti anni, e tante mostre in luoghi prestigiosi, forse dovrei essere abituato. Ma non mi abituo mai. Sono sempre ebbro di felicità. E poi mi dico sempre che faccio l'ambasciatore di Venezia nel mondo».
Già, Venezia...
«Viviamo in un luogo privilegiato. E difficile, ma io mi sento come un piccolo gladiatore. Sono arrivato qui giovanissimo. E qui sono diventato più fluido, più tollerante. Qui, grazie al flusso dell'acqua, si diventa più elastici. Ho avuto la fortuna di fare quello che volevo. Si parla di società liquida e mi ci trovo perfettamente a mio agio. È coerente con il mio pensiero».
Maestro, a giorni inizierà la Biennale Architettura, è curioso, le interessa?
«Molto di più delle recenti Biennali d'arte. Le ho trovate un po' noiose...».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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