Con la pandemia, per mantenere sicurezza, ridurre il contagio e continuare a lavorare,

Martedì 31 Marzo 2020
Con la pandemia, per mantenere sicurezza, ridurre il contagio e continuare a lavorare, tutti lavorano smart, per lo più da casa. Dal giornalista che non sta più in redazione, all'avvocato o al commercialista, con il loro seguito di segretarie che hanno abbandonato gli studi, agli impiegati di uffici pubblici e privati che sono a casa a svolgere lavoro d'ufficio. Si è così sviluppato lo smart working, tradotto lavoro agile. Attenzione, si tratta di una situazione forzata imposta dalla pandemia che costringe le persone, volenti o nolenti, a essere casalinghi per forza. Il modello di smart non è il risultato di una partecipazione ma di uno stato di necessità. Sono bisogni di sopravvivenza e sicurezza che stanno a fondamento di questa situazione, non certo la voglia di sperimentazione o di introdurre nuovi modelli organizzativi con il passo dei tempi.
Al riguardo, occorre fare delle precisazioni. Ci aiuta il prof. Pietro Ichino, esperto di diritto del lavoro. Con il termine lavoro agile si indica la prestazione lavorativa che, pur effettuata in regime di subordinazione, si caratterizza per non essere soggetta a svolgersi in un determinato luogo né, in una versione più spinta, vincolata ad un dato orario. Non è il tele-lavoro che ha avuto qualche diffusone negli anni Ottanta, oggetto di accordi sindacali in alcune grandi aziende. Era una forma organizzativa tutt'altro che agile. Comportava l'installazione, presso l'abitazione del lavoratore o in altro luogo concordato, di una postazione fissa collegata, via cavo o radio, con la quale la persona poteva svolgere attività professionale di modesto livello come mansioni di centralinista o di call center.
Questa nuova organizzazione del lavoro resa possibile dal pc e da internet è stata normata con un riconoscimento legislativo esplicito. Vedi legge n° 81 del 2017 che intende porre un segnale di ammodernamento del diritto del lavoro, incoraggiando allo stesso tempo la sua diffusione. Una legge che ha introdotto molte bardature come la pattuizione scritta, per la quale il decreto coronavirus del Presidente Conte ha dovuto emanare una norma apposita per esentarla. Per il prof. Pietro Ichino, in luogo della legge, bastavano due righe che dicessero «il lavoro agile è soggetto alla disciplina del lavoro subordinato, ad eccezione delle norme in materia di collocazione ed estensione temporale della prestazione».
Il Centro Dondena della Bocconi ha svolto un'indagine sullo smart working dalla quale risulta che gli effetti positivi in termini di produttività, benessere individuale e bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale sono di gran lunga superiori a quelli negativi riscontrati per certi tipi di lavori come l'isolamento e lo stress.
Osservando il nostro sistema economico lo smart working è ancora poco diffuso perché conosciuto poco o in modo troppo impreciso. Questa sperimentazione imposta dalla pandemia potrebbe essere un'occasione per cominciare ad introdurlo su vasta scala. Presenta enormi potenzialità in termini di risparmio sui tempi di spostamento delle persone e dei costi logistici aziendali, ma anche sul terreno della riduzione del traffico urbano e dell'inquinamento. Ma è soprattutto un modello di organizzazione del lavoro fondato sulla responsabilizzazione delle persone e dei gruppi, contando sul loro potenziale di autonomia e autosviluppo, su processi di open leadership e sulla collaborazione. Che da questa dura esperienza possa nascere una svolta nel campo del lavoro!
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