«Cibo spettacolo? No, cultura»

Lunedì 20 Maggio 2019
«Cibo spettacolo? No, cultura»
L'INTERVISTA
«Ci vorrebbe una specie di Non è mai troppo tardi per la cucina: le persone parlano in continuazione di cibo, tutti guardano in tv i programmi di cibo, ma il cibo è diventato spettacolo, senza badare a cosa significano le nostre scelte alimentari. Scegliere di riempirsi di quinoa o di avocado è solo seguire il cibo di moda, l'asparago ha tutte le qualità giuste ma non fa figo. La Rete è una sorta di oracolo accettato senza farsi domande e dimenticando completamente la nostra cucina che è cultura e storia».
Anna Maria Pellegrino, veneziana e padovana, 53 anni, due figli: «Sono una cuoca narrante, una personal chef detto all'inglese. Una blogger. Un'insegnante. Anche una cuoca a domicilio». Sugli italiani e la cucina ha idee chiare: «L'Istat nel 2000 ha tolto dal paniere della contingenza le frattaglie e la trippa e nel 2018 ha inserito avocado e mango È aberrante, non conoscono la nostra letteratura gastronomica!». Non è nata con la vocazione della cuoca, tra i fornelli è finita a 40 anni, dopo un'esperienza manageriale. È un volto popolare della Rai per le partecipazioni a programmi di cultura enogastronomica, ma non apprezza l'esibizionismo di certi cuochi in tv.
Non era una bambina che giocava con pentole e fornelli?
«Sono nata a Venezia il 19 marzo, san Giuseppe, nel giorno in cui i miei genitori festeggiano il loro fidanzamento, quest'anno giusto 60 anni. Mio padre era figlio di una veneziana doc e di un napoletano che era stato spedito in Laguna dalla famiglia per raddrizzarlo un po'. Mamma, invece, viene da una famiglia contadina di Mirano e a me piaceva moltissimo andare a trovarla, c'era la corte con gli animali grandi e piccoli, una specie di arca di Noè. Mi piaceva andare nel pollaio a prendere le uova, quasi chiedevo il permesso alle galline. Ce n'era una che io chiamavo la gallina eretica perché non voleva covare, mi sembrava che fosse una specie di Giovanna d'Arco del pollaio».
Non c'era un futuro in cucina per la piccola Anna Maria?
«Sono cresciuta in terraferma, papà aveva un'azienda che costruiva stampi pressofusi, ho vissuto da bambina a Marghera. Quando ci siamo trasferiti a Spinea non riuscivo a dormire per il troppo silenzio, ero abituata alle fabbriche che non chiudevano mai. La mia isola del tesoro era lo studio col tappeto a forma di mucca e pieno di libri. Papà è uomo del Sud, vedeva per le donne solo la famiglia. Così sono andata da un'altra parte, alla Pam dove ho conosciuto Roberto, un avvocato, che è diventato mio marito. Siccome la politica aziendale non gradiva matrimoni tra dipendenti, sono entrata in una società padovana di consulenze».
Quando è esplosa questa passione per la cucina?
«A 40 anni. Si era ammalata mia suocera Eleonora, lei è stata per me amore e disponibilità, rincasavo a orari incredibili e trovavo i figli che giocavano con la nonna a indiani e cow boy. Poi si ammalò, mi sono licenziata per starle accanto, per me era giusto così. Quando se n'è andata, nel 2005, mi sono resa conto che era cresciuta in me la passione della cucina e ho chiesto alla famiglia di concedermi un anno sabbatico. Avevo bisogno di sapere se sarei stata in grado di sostenere la fatica che c'è in cucina. Nel 2007 è incominciato il mio nuovo mondo».
Lei si definisce food blogger, cosa significa?
«Un blogger è una specie di diario aperto in Rete. Ho incominciato a inventarmi ricette, continuando a studiare, a frequentare corsi. Poi sono passata dall'altra parte e ho incominciato a insegnare. Oggi insegno in vari istituti e tengo corsi anche a Ca' Foscari e al Bo su storia e antropologia della cucina».
Cosa fa una cuoca a domicilio?
«Entro nelle case delle persone, a volte trovo cucine bellissime intonse, poi magari c'è il fornellino in terrazzo perché friggere significa fare odore: il cibo è bello, ma non deve avere sangue, deve essere quasi finto. La cena che mi ha riempito di tenerezza è stata tre anni fa: una giovane coppia padovana aveva appena avuto una bimba e il marito voleva offrire la cena per San Valentino, così alla fine la piccola l'ho tenuta io. Mi è capitato una volta di essere stata chiusa nella cucina dalla padrona di casa. Io preparavo le pietanze di una cena per otto persone, lei veniva e portava via i piatti. Mi ha liberato quando l'ultimo ospite è uscito di casa. Una volta sono a Roma in una ricca famiglia con maggiordomo e personale non italiano. Il marito era stufo di mangiare thailandese e ho insegnato al personale una serie di piatti, quasi un Bignami della cucina italiana. Mancavano pentole e padelle, con l'autista siamo andati nel negozio più importante di Roma e abbiamo preso due di tutto!».
Sempre tutto così semplice?
«Chiedo sempre di fare un sopralluogo, devi sapere cosa trovi in cucina, cosa può servire, capita anche di doverti portare perfino i piatti. Una sera mi apre la porta un signore affascinante, a torso nudo, pantaloni del pigiama in seta, un bel sorriso. Credo che abbia travisato, non le occorre un cuoco a domicilio. Mi giro e vado via».
Si impara sempre qualcosa?
«Una volta ero tra signore malate di Alzheimer che hanno raccontato i loro ricordi di cucina ed è stato incredibile. Una signora mi diede un quaderno sul quale aveva scritto le ricette della sua infanzia, nelle prime due pagine c'erano tutti i nomi dei fratelli con data di nascita: Perché non so se domattina li ricorderò ancora. Un'altra signora era stata allontanata dalla Libia con la rivoluzione di Gheddafi, aveva perso quasi tutto. È venuta a casa mia e insieme abbiamo cucinato il couscous con sette verdure diverse. Mi ha fatto fare giri pazzeschi per tutte le drogherie di Padova, non ne ho più mangiato uno così buono».
Ce l'ha con certi chef in tv, ma non disdegna la presenza televisiva
«Abbiamo iniziato quattro anni fa col professor Danilo Gasparini, portando i ricettari storici, i diari domestici. L'uomo in cucina ha sempre scritto e tanti hanno pubblicato, le donne non hanno avuto la stessa possibilità. I ricettari di cucina tenuti dalle donne sono veri e propri diari familiari con consigli per tutto e tutti: per la nuora, per gli anziani, per tenere lucide le perle, per tenere lontane le tarme dagli abiti. Da Geo di Sveva Sagramola continuo ad andare e a portare le ricette che le signore degli anni '40-'60 trovavano nel Talismano della felicità o nel Cucchiaio d'argento. Non ce l'ho con i cuochi in tv ma con gli eccessi, sarebbe bello che un cuoco non parlasse sempre di sé, ma facesse una sorta di alfabetizzazione gastronomica. In un istituto alberghiero ho visto una mamma che non chiedeva programmi scolastici o studi da fare per il figlio, ma: Se lo iscrivo, tra quanto tempo può andare a Masterchef?. Ecco: il futuro non è lo studio e il lavoro, ma la celebrità in televisione!».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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