Cecchetto, Chiambretti & Co. «Fu un'autentica rivoluzione»

Lunedì 20 Novembre 2017
I RICORDI
La pista da ballo come metafora della vita. Uno scenario, quello descritto da La febbre del sabato sera, dove ognuno, con talento e sfrontatezza, può conquistare una porzione di fama. In assoluto il primo film a raccontare l'umanità delle discoteche. Un fenomeno che segnò tantissimi giovani dell'epoca. Claudio Cecchetto, per esempio, che aveva 25 anni: «Quando uscì facevo il dj al Divina di Milano e l'effetto di quella storia si fece subito sentire. La discoteca, che prima era un posto in cui si andava quasi di nascosto, senza vantarsene, diventò subito di moda. Niente fu più come prima».
LA SINISTRA
«Gli Anni 80 - commenta Roberto D'Agostino, che di anni ne aveva 29 - sono iniziati nel '77 con i salti di Tony Manero. Il passaggio di Travolta sul ponte verso il centro della città segnava la nascita di un'era con valori diversi da quelle precedenti. La Sinistra nel passaggio 70-80 perde le sue chance, si azzerano le ideologie, con la discoteca la gente non manifesta più ma si manifesta, ossia si mette in mostra in pista. Si passa dal noi all'io. La persona non cerca più l'identità nel gruppo sociale, nel partito, ma vuole creare se stessa. Sono valori che ci portiamo ancora dietro, basta pensare ai profili sui social».
Piero Chiambretti, allora ventunenne, lavorava in più discoteche a Torino: «In quel periodo ero agli inizi e cercavo di fare il dj. Il film lanciò la disco music e ci fece scoprire gruppi e pezzi fantastici. Penso ai Bee Gees, qui con brani disco e non mielosi, Donna Summer, e in generale tutta la musica per ballare. Il riferimento era lo Studio 54 di New York, luogo magico per pochissimi fortunati. Quello fu il primo film a imporre nuovi brani e artisti. Fino ad allora erano state le radio a farlo. Una vera rivoluzione musicale».
«Le scene in pista, la cosiddetta Line Dance - afferma Amii Stewart, che, ventunenne a Washington, in quegli anni scalava le classifiche con Knock on Wood - erano bellissime, si ballava davvero così. Era un modo di vivere la discoteca in molto diverso da oggi: in gruppo». Temi sociali e musica si fondono nei ricordi di Pietro Valsecchi che aveva 24 anni: «Nel '77, ero al Dams a Bologna, vivevamo gli anni caldi della contestazione, nel film c'erano ribellione, razzismo, droga. Tony Manero aggregava il mondo ma soprattutto la periferia e i giovani. Tutti sognavano di essere lui, io sognavo di essere il produttore. Il nostro mito era Scorsese. La febbre del sabato sera, più pop, ha colto il sentimento della competizione insito in ognuno di noi. C'erano i Bee Gees, le bande, la rivalità, il sabato, fu un fenomeno di costume. Ancora oggi, la gara di ballo il sabato sera è un format che funziona».
Milly Carlucci, ventitreenne era già nota al grande pubblico dopo il debutto in tv, nel 1976, con L'Altra Domenica di Renzo Arbore: «In quegli anni ero a Los Angeles e ci fu un boom di iscrizioni alle scuole di danza. Anche mio marito, di professione ingegnere, uno che non è mai stato scatenato nelle danze, conosceva alla perfezione il passo un cui John Travolta si dava da fare alzando il dito al cielo. Dato che quel film lo videro proprio tutti, chiunque faceva così. In Italia, in America, ovunque».
V. Arn.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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