Cannes ha fatto Bong Peccato per Bellocchio

Domenica 26 Maggio 2019
IL GRAN FINALE
Diciamo la verità: era abbastanza improbabile che Il traditore, il bel film di Marco Bellocchio, unico titolo italiano in gara per la Palma d'oro, potesse portare a casa qualche premio, al di là della formidabile concorrenza nell'edizione più entusiasmante di Cannes, per qualità complessiva dei film, dell'ultimo decennio: una storia così tanto italiana probabilmente non poteva essere colta in tutta la sua dimensione da una giuria che sa probabilmente poco della vita di Tommaso Buscetta (a parte Alice Rohrwacher), pur filtrato dall'occhio creativo e originale del grande regista piacentino. Ma non prendiamola come una sconfitta, l'Italia non torna a casa a mani simbolicamente vuote: il film è stato apprezzato, sia in sala che dalla critica e dunque un segno qui l'ha lasciato. Ed è comunque un buon segnale per il cinema italiano anche a livello internazionale.
LA PRIMA VOLTA DELLA COREA
A parte una sorprendente stupidaggine, la giuria governata dal messicano Iñarritu, che non aveva un compito facile visto come detto il livello del Concorso, ha preso decisioni sostanzialmente condivisibili, a cominciare dalla Palma finita per la prima volta in Corea del Sud, grazie al magnifico Parasite di Bong Joon-ho, che vede la sua consacrazione, dopo diversi titoli amatissimi dai cinefili. La Palma dunque resta in Asia (l'anno scorso vinse il giapponese Kore-eda) e curiosamente con un'opera che ci parla di nuovo della famiglia non in senso idilliaco, in una dimensione politica controversa, che mette a nudo le disuguaglianze sociali e il ruolo dello Stato: chi pensava impossibile il bis, dato il contenuto, si è dovuto ricredere. E comunque Parasite aveva avuto in sala un'ovazione difficilmente trascurabile dalla giuria.
Forse è un po' benevolo il Grand Prix alla regista esordiente Mati Diop, parigina con sangue senegalese da parte di padre, però con Atlantique si premia il futuro, il coraggio di provare strade affascinanti e difficili, dove si parla di migrazione, di crisi del lavoro (siamo in Senegal); e i temi sicuramente hanno spinto il giusto. Ma, pur essendo un film fragile e naïf, con sconfinamenti nell'onirico, non sempre dosati, è un riconoscimento apprezzabile. Lo è anche il doppio Premio della Giuria a due opere di grande forza estetica e di sicuro impatto emotivo: Les Misérables di Ladj Ly (Francia) e Bacurau della coppia brasiliana Mendonça Filho e Dornelles, tra rivolte nelle banlieue e un violento, distopico gioco al massacro.
OVAZIONE ALLA SPAGNA
Se con un po' di sorpresa, ma se si stava attenti meno, è stato accolto il premio alla migliore attrice (Emily Beecham per Little Joe dell'austriaca Jessica Hausner), perfino ovvio dare a Antonio Banderas quello per la magistrale interpretazione di Dolor y gloria di Pedro Almodóvar, che forse sperava in qualcosa per il film, visto che il regista spagnolo finora non ha mai ricevuto premi importanti ai festival. Giusto premiare la sempre più matura Céline Sciamma per la sceneggiatura della storia lesbica in Portrait de la jeune fille en feu e bella la menzione speciale per il caustico It must be heaven del palestinese Elia Suleiman.
Ma è invece davvero inaccettabile l'ennesimo premio ai fratelli Dardenne, non solo per le due Palme già ricevute in passato (più altri premi vari), ma anche perché da tempo sembrano ormai aver esaurito la loro carica migliore e questo debolissimo Le jeune Ahmed, che parla di un adolescente radicalizzato alla violenza, ne è la prova: premiarlo poi come miglior regia (da tempo il premio più sballato dalle giurie), con tutto quello che si è visto, è davvero sconcertante.
STAMPA OSTEGGIATA
Niente premi a Malick e Tarantino, giganti che non hanno comunque bisogno di riconoscimenti. E fuori anche altre opere belle, come i film di Desplechin o del cinese Diao, ma questo era inevitabile visto il livello di quest'anno. E niente Kechiche, con quelle tre ore e mezza di lati b femminili e il sesso orale, che ha diviso e suscitato polemiche.
Si chiude come detto un'ottima Cannes. Ma a parte i film, il resto è stato un delirio totale, tra caos, orari impossibili, controlli ossessivi e un'ingiustificabile ostilità nei confronti della stampa. Brutta cosa non rispettare il lavoro degli altri.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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