Cannes, con Malick la Palma può passare per Sappada

Lunedì 20 Maggio 2019
Cannes, con Malick la Palma può passare per Sappada
CINEMA
Se la pioggia da foresta tropicale è solo uno dei tanti deliri che quest'anno Cannes riesce a regalare (programmazione folle, code, controlli esasperati, caos a non finire), almeno in sala sembra quasi sempre sereno: la qualità dei film è decisamente buona, anche molto. Ieri è finalmente apparso l'ultimo film del leggendario regista Terrence Malick. Si usa il termine finalmente perché in realtà è da troppo tempo che se ne parla, essendo stato girato ormai tre anni fa, ma la gestazione post produttiva è stata indubbiamente complessa. E atteso da tempo ai vari festival, è ora sulla Croisette, con il suo carico di possibile Palma d'oro (a maggior ragione dopo aver visto il film), anche vista la potenza della trama, specie in questo periodo così turbolento e preoccupante per l'Europa, con il rigurgito di idee forti e dittatoriali.
Siamo nel 1940 a Sankt Radegund, un paese a meno di un'ora d'auto a nord di Salisburgo. Qui vive il contadino Franz Jägerstätter, con la moglie Fani e le figlie, che all'arrivo delle truppe hitleriane, si rifiuta di combattere al loro fianco, finendo per essere arrestato, processato e ghigliottinato nel 1943. Tratto da una storia vera, A hidden life (Una vita nascosta), che inizialmente doveva proprio intitolarsi Radegund, è stato girato, nell'agosto 2016, in gran parte a Cima Sappada (oltre che in Alto Adige), la zona più caratteristica del comune dolomitico, fino al dicembre 2017 in territorio veneto e ora in provincia di Udine, scelto dal regista per l'architettura ben conservata e il fascino di borgo montanaro, con abitazioni costruite in legno nello stile Blockbau, caratteristico della zona, che prevede l'incastro delle travi senza chiodi.
DA HITLER A OGGI
Accolto alla proiezione stampa da un lungo e caloroso applauso, il film permette al regista di La sottile linea rossa e The tree of life (Palma d'oro qui nel 2011) di proseguire il suo discorso ontologico sull'Uomo, a confronto con la Storia, l'Universo e ovviamente se stesso, portando il libero arbitrio all'esasperazione nella ricerca della Verità, a costo anche di perdere la vita, nel contrasto tra la pace della Natura e la turbolenza dei rapporti umani. Malick ritrova una traccia più narrativa rispetto ai suoi ultimi lavori, ma non rinuncia più alla sua architettura preferita, barocca fino all'esasperazione nonostante la sottrazione di racconto classico e dialoghi, giocando sulla frantumazione del tempo, sul montaggio ansioso e dissociato, sulla ripresa grandangolare e sul sistema contemplativo del mondo. Tutto questo produce un effetto ancora una volta stupefacente e spiazzante, tuttavia anche estenuante alla centesima corsa tra i campi, al millesimo carrello nei corridoi del carcere (no, non è una riserva sulla durata di 3 ore, ma): il fascino del percorso interiore dei protagonisti, anche in questa storia dura e crudele resta intatto, ma è anche vero che uno dei pochi momenti il cui cuore batte davvero è quando la moglie va a trovare il marito in carcere, prima dell'esecuzione, specie quando le viene negato di abbracciarlo, rinunciando finalmente a qualche svolazzo poetico.
Diviso in tre parti (la giocosa vita bucolica, con il rombo di un aereo ad annunciare il dramma; l'arruolamento nel castello di Enns, con l'obiezione; il processo, dove appare per l'ultima volta Bruno Ganz, e l'esecuzione a Tegel), inframezzato da inserti d'epoca con la vita pubblica e privata del Führer, il film è anche un monito sull'oggi. La Palma può passare per Sappada.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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