C'è un problema Venezia? Sembra buffo, ma siamo sempre là. Già nell'Ottocento

Lunedì 25 Settembre 2017
C'è un problema Venezia? Sembra buffo, ma siamo sempre là. Già nell'Ottocento c'erano quelli convinti che a Venezia non si doveva cambiare nulla, si doveva solo conservare. La realtà è diversa: è come se uno avesse in casa per tutti i giorni un servizio di piatti che vale un milione a piatto, hai paura ad usarli, ma se non li usi non mangi.
Tutto questo richiede coraggio e orgoglio, dice Cesare De Michelis, 74 anni, veneziano, editore della Marsilio.
La situazione diventa ogni giorno più critica?
«Nessuno ferma la decadenza, come si fa? Tutti immaginano che il tempo si possa fermare, ma ogni giorno si prende un pezzo. Non esiste l'eternità, così ci si esaurisce nell'assistenza che è il massimo del narcisismo».
Cosa suggerisce di fare?
«Venezia è viva e bisogna rimettersi in gioco. Abbiamo il terzo aeroporto d'Italia, siamo una delle mete turistiche del mondo, abbiamo investito per costruire il più bel porto da crociere d'Europa, l'unico che può accogliere otto grandi navi. Eppure lo diciamo come se fosse una sventura. Occorre una città capace di esprimere un sentimento di orgoglio».
Chi è un editore?
«Diceva bene Valentino Bompiani: Il libro lo scrive l'autore, lo stampa il tipografo e lo vende il libraio. L'editore più cinicamente ci mette i soldi. Io lo definisco come quello che sposta i libri dalla tipografia ai librai e se sbaglia l'indirizzo è fregato. A noi editori italiani mediamente torna indietro almeno un libro ogni tre».
Forse perché in Italia si stampano troppi libri?
«È sempre stato così dai tempi di Manuzio. Le ragioni per cui si stampa un libro sono varie: per diffonderlo, per venderlo, per ambizione, per soddisfazione personale. Ci sono pochissimi lettori. Però, il libro non si butta, è come il pane per i Francescani; è una cosa che non si consuma, è uno strumento per garantire l'eternità».
La sua biblioteca ha 80 mila volumi
«Centomila per la precisione, tutti di letteratura italiana. Sono loro che comandano. Nella mia vita, oltre a fare l'editore, ho fatto il professore e i libri sono ciò che resta di questa vocazione allo studio. Come editore il libro è una merce da vendere, come studioso lo conservo e lo curo. La carta del Cinquecento ancora adesso i frati benedettini di Praglia la lavano col sapone di Marsiglia, poi lo stendono a asciugare e il libro sembra nuovo. Provate a bagnare un libro di oggi?».
Il suo volume più bello?
«Non sono un bibliofilo, sono un bibliomane. Sono affezionato alla biblioteca, non a un libro. In un volume del Settecento che raccoglie i drammi sacri di Apostolo Zeno nel primo foglio c'è scritto: Dono dell'autore a. L'idea di avere quella copia con la firma ti dà emozione. Li uso per studiare, sono pieni di segni, finiranno tutti all'università di Padova, assieme agli archivi di manoscritti di autori veneti, da Nievo a Berto».
C'è un libro che vorrebbe avere?
«Non c'è un libro che mi fa impazzire. Se, però, vuoi avere l'intera collezione di Sogno non c'è in nessuna biblioteca italiana, eppure il fotoromanzo è uno straordinario documento per capire il cambiamento rapido e radicale della nostra cultura popolare».
Come è diventato editore?
«Il regalo di laurea di mio padre fu, su mia richiesta, un pacchetto di azioni della Marsilio, una casa editrice che era nata a Padova da un gruppo di neolaureati che volevano fare un'impresa, una sfida nell'Italia in pieno boom. C'era anche Toni Negri che ne uscì subito».
Che famiglia era quella che regalava azioni a un neolaureato?
«Famiglia borghese, mio padre era un dirigente d'azienda, mia madre una ex dirigente convertita alla casalinghitudine. Mio nonno era un pastore evangelico, mestiere non redditizio, e quello materno era un sarto. Mio papà, ingegnere, è arrivato a Porto Marghera nel 1936 a 24 anni, anche mia madre lavorava nella zona industriale. Poi è diventato direttore generale di tutti gli stabilimenti della lavorazione dello zinco in Italia. Mio fratello Gianni è nato nel 1940, io nel 1943, gli altri tre fratelli nel dopoguerra. Abbiamo avuto un'infanzia serena, non c'è stata fortunatamente traccia del bisogno. Mio padre ha investito i risparmi di borghese fortunato nelle case che ci ha lasciato».
Sì, ma lei come è diventato l'editore?
«Non pensavo a fare l'imprenditore, quelle azioni raggiungevano l'1%, e il giorno dopo la laurea ero a Messina dove ho incominciato la carriera universitaria che mi ha riportato al Bo'. Qualche anno dopo il gruppo che aveva creato la casa editrice aveva perso l'entusiasmo e si stava sciogliendo, mi hanno quasi regalato la Marsilio a patto che la mandassi avanti e mi sono, piano piano, infilato in questa avventura che alla fine è diventata la ma vita. Ce l'ho fatta con l'aiuto di mia moglie».
Negli anni '90 avete avuto momenti di grandi difficoltà
«Tangentopoli ha pesato sulla mia famiglia e sull'azienda e questo non ha semplificato la vita, ma siccome perdere non mi piace ho cercato un partner e nel 2000 l'ho trovato nella Rizzoli. Di recente si è verificata questa vicenda paradossale, che la sola Marsilio bastava per trasformare la Mondadori in monopolio! C'era la possibilità di ricomprarla e ce la siamo ricomprata.
E oggi la Marsilio?
«Facciamo 300 titoli in un anno, stampiamo praticamente un libro al giorno, vendiamo 20 milioni di libri. Il successo ci è arrivato, clamoroso e improvviso, con i tre gialli dello scrittore svedese Stieg Larsson, oltre 5 milioni di copie.
La caduta di suo fratello Gianni?
«Pesa ancora, è stato il più importante incontro della mia vita da quando sono nato e lo è ancora dopo 74 anni. È l'uomo più intelligente che abbia conosciuto, col quale ho condiviso tutto: dalla stanza da letto per 22 anni, alla casa editrice, alle idee politiche. Continuo a giudicare una iattura la sua disgrazia politica, ma non tocca a me giudicare Gianni e nemmeno i suoi giudici».
Come sta l'ex ministro?
«Gianni purtroppo sta male. Ha pagato anche sulla propria pelle questa disgrazia e ormai è in una situazione in cui non si torna indietro. Ha avuto una vecchiaia precoce e sfortunata. Quando una sconfitta è così drammatica e clamorosa, qualche errore l'hai commesso, anche di visionarietà. Ma Gianni ha pure vinto: il referendum sulla scala mobile, la riforma delle pensioni, in politica estera, un decennio al governo. Certo aveva il suo tallone di Achille, se lo hanno colpito è perché si poteva colpire».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci