Bollani: «Scelgo il rischio per questo suono il jazz»

Domenica 27 Ottobre 2019
MUSICA
Tra le frasi più singolari di Stefano Bollani una, in particolare, riassume al meglio il sua carattere, il suo approccio alla musica di matrice neroamericana. «Assumersi dei rischi è il bello del jazz. Perdersi».
Ora il pianista, mai ripetitivo e sempre alla ricerca di strade nuove e possibilmente impegnative, ha deciso di proporre al suo nutrito pubblico un progetto a due pianoforti che lo vede impegnato sul palco insieme al cubano Chucho Valdès. I due si erano incontrati nel programma televisivo di Bollani L'importante è avere un piano andato in onda su Rai 1. Qui, come spesso accade nell'imprevedibile mondo del jazz, è come scattata una scintilla tra loro. Da una parte la fantasia e l'estro senza freni di Bollani, dall'altra la fenomenale energia e i colori della musica cubana di Valdès.
In vista del concerto in programma al teatro Goldoni (il 2 novembre alle 21), il pianista milanese, classe 1972, spiega i contorni dell'intrigante progetto che verrà portato in tour non sono in Italia ma anche all'estero.
«In quell'incontro in Rai - racconta Bollani - mi sono trovato davvero bene a suonare con Chucho e così abbiamo pensato di preparare un tour con due pianoforti. La nostra sintonia si è rafforzata anche in un concerto che abbiamo tenuto all'Avana».
Da cosa si è sviluppato il vostro rapporto?
«Beh, oltre alla sua tecnica, alla sua capacità, mi ha colpito soprattutto il suo buon umore. È un musicista completo e con lui si è subito creata una ottima sintonia».
Come è impostato il concerto?
«Ci saranno tanti elementi e brani della musica cubana, di quella italiana e naturalmente, visto che parliamo di jazz, ci saranno anche composizioni statunitensi. C'è da dire anche che nel corso della serata ci saranno soprattutto ampi spazi dedicati all'improvvisazione che in questi spettacoli ricopre un ruolo davvero fondamentale».
Cosa piace ai musicisti stranieri dei nostri repertori?
«Sia a Chuco che a tanti altri artisti stranieri la nostra musica piace prevalentemente per la solarità e per la melodie. Basta pensare alle composizioni di figure di spessore come Puccini oppure lo stesso Morricone. Noi italiani, invece, siamo costantemente attirati dall'aspetto ritmico della musica cubana, da questo forte ed antico legame con l'Africa».
A proposto dei compositori classici, come si trova un jazzista quando rilegge certe storiche composizioni del passato? Penso all'album Mediterraneo di due anni fa
«È facile rileggere queste musiche a proprio piacimento anche perchè i compositori sono morti e non possono certo protestare (ride). Poi nel progetto che ho realizzato ho avuto la possibilità di scegliere i brani che mi piacevano di più. In Puccini, tanto per fare un esempio, ho trovato scelte geniali e grande ispirazione».
Che segnali arrivano dalla scena italiana, in particolar modo dai giovani?
«Il livello dei giovani mi sembra buono, penso che il linguaggio jazzistico si evolva costantemente. Ritengo che per chi inizia questa carriera sia fondamentale fare incontri con altri musicisti in particolare con quelli più stravaganti dai quali attingere nuove idee. Andare all'estero e conoscere altri mondi resta indispensabile».
Nel tuo caso come è andata?
«Io devo tutto ad Enrico Rava che tanti anni fa mi ha accolto nel suo gruppo. È stato lui il primo ad aprirmi tutte le porte di questo mondo, a farmi crescere come musicista. Enrico mi ha fatto conoscere i grandi produttori, penso ad esempio all'etichetta tedesca Ecm. In generale lo ritengo davvero un musicista imbattibile».
Proprio Rava, che quest'estate ha compiuto 80 anni, è stato al centro delle celebrazioni dell'Ecm. Ma non sono pochi gli artisti anziani che continuano a suonare
«Certo, questa passione ci tiene in vita soprattutto se fai le cose che ti piacciono di più. Tra questo gruppo di grandi jazzisti, oltre ad Enrico, ricorderei anche Lee Konitz e Sonny Rollins».
Gianpaolo Bonzio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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