«Biennale alla Fellini e anche tanto kitsch»

Domenica 26 Maggio 2019
LA VISITA
Il primo approccio è stato impegnativo: superare i controlli all'ingresso. Anzi, addirittura un po' prima: la consegna di un trolley al deposito bagagli. Una burocrazia tortuosa, anche un tantino indisponente e pure un codicillo da osservare. Insomma, un'accoglienza un po' rude, ma poi tutto è andato via liscio grazie alla cortesia degli addetti al check point. Da una parte il mondo, dall'altra la Biennale Arte. Il Gazzettino ha scelto di fare una passeggiata tra Giardini di Castello e Arsenale, con Massimiliano Finazzer Flory, scrittore, attore che in queste settimane sta portando in scena uno spettacolo su Leonardo al Festival dell'Invenzione di Treviso. «Ecco - dice dopo aver superato i controlli un po' assillanti - la verifica dell'identità, l'indagine personale. È il paradosso della burocrazia e del mondo degli artisti. È come se questi fossero chiusi qui dentro, slegati dalla realtà. Sono questi i tempi interessanti? Peccato che nessuno abbia pensato a farne una installazione...».
L'ITINERARIO
Poco a poco Finazzer Flory costruisce il suo itinerario. Si guarda intorno come una segugio che fiuta i percorsi e sceglie, immancabilmente, il Padiglione centrale, avvolto nella nebbia dell'installazione di Lara Pavanetto. «Adoro la nebbia - dice Finazzer - perchè aiuta a vedere meglio. Ci permette di scoprire il mistero delle cose. Essere avvolti in queste nuvole mi pare bello. È senz'altro site specific. È Venezia». Ma l'idillio dura poco, Basta entrare nel padiglione centrale che lo scrittore si inalbera. «Perchè May You live in interesting Times? Anzichè il verbo May (permettere ndr) il curatore avrebbe dovuto utilizzare could (poter fare) in tempi interessanti. E soprattutto io ci avrei messo un punto di domanda... Perchè è qui arriva la fiondata - un curatore deve fare delle domande. C'è una bella sfumatura tra possibilità e potere. Perchè il rischio è che questo Padiglione sia un albergo a cinque stelle per gli artisti e non apra veramente una discussione sulla città. Qui Venezia non c'è. Mi pare che non ci sia un confronto con la natura nonostante si parli di sostenibilità ambientale». Dall'ingresso alla sala del braccio meccanico che raccoglie idealmente un liquido oleoso simile al sangue ideato dai cinesi Sun Yuan e Peng Yu dirimpetto al Muro realizzato da Teresa Margolles per commemorare l'immigrazione clandestina tra Messico e Usa.
IL PUNGOLO
«Siamo di fronte ad un'occasione perduta - dice Finazzer Flory -. Mi piace molto il Muro di fronte alla macchina, ma avrei preferito ricordasse quello di Berlino di cui quest'anno ricorre il 30. anniversario dall'abbattimento. E avrei potuto capire meglio il sangue... Sarebbe stato quello sparso dei vari totalitarismi...». E aggiunge: «Qui, una accanto all'altra, vi è la dimensione del corpo meccanico e quella del corpo umano. E allontanandosi verso altre stanze: «Qui non si avverte musicalità, c'è solo rumore». Vale la pena pungolarlo. Però pochi italiani... «Questo la dice lunga. Siamo nientemeno che marginali a casa nostra. E ce lo dice chiaramente anche il curatore. È evidente: esiste un problema culturale e pure politico. Pensare che ci sarebbero tanti artisti italiani meritevoli di essere qui alla Biennale. Ma lo sappiamo il collezionista cinese non compra italiano. Abbiamo una sudditanza psicologica oltre che artistica». Finazzer transita nelle stanze. C'è l'Africa del nigeriano Njideka Akunyili Crosby: «Ci sono idee e pensiero. Questo continente è un serbatoio straordinario di poesia e di etica. Basta guardare l'ispirazione che ne hanno tratto Etro e Missoni. I materiali, i tessuti, la filosofia. Una grande energia spesso non mediata, istintiva. Noi italiani avremo tutta la capacità di dialogare e di impedire le spinte tribali».
GIOCHETTI LUDICI
Mentre passeggia torna la riflessione sul Padiglione centrale. «C'è tanto kitsch... ma posso dire - sibila Finazzer - c'è più kitsch interessante fuori dalla Biennale... ». Risatina sardonica. Si arriva davanti all'opera del cinese Nabuqi, la mucca che ruota sui binari. «Un giochetto ludico - taglia corto - come essere al Luna park». Finalmente si arriva ad una videoimmersione dedicata a Leonardo. Finazzer si siede su uno sgabello; segue la narrazione sul sottomarino di Leonardo. Si ferma, riflette. E poi quando si parla di Finmeccanica, trasformata in Leonardo spa e coinvolta nei massacri di Afrin nel Kurdistan, sbotta: «Mi piace la denuncia strumentale del nome di Leonardo per condannare l'uso delle armi, ma non mi convincono nè la voce narrante nè il disegno del video». Nel giro si sofferma sulle immagini di Mari Katayama, l'artista con gli arti inferiori mutilati. «Sono immagini forti. E lei ci fa vedere il nostro occhio malato. Tutto ciò mette a nudo le nostre perversioni». Poi toccata e fuga al Padiglione Venezia. Un salto rapido nel tunnel a piedi scalzi che rappresenta la laguna. E una battuta: Mi sembrava di essere Marcello Mastroianni dentro la fontana di Trevi quando va incontro ad Anita Ekberg in Otto e mezzo. Molto felliniano, molto Cioran (filosofo esistenzialista ndr)».
ALLE CORDERIE
E a questo punto è arrivato il momento delle Corderie. L'impatto è immediato con l'opera di Christian Marclay, 48 War Movies, una cacofonia di immagini e suoni su uno schermo gigante che accoglie all'ingresso il visitatore. «Questo mi piace - butta subito lì Finazzer Flory - Qui c'è una risposta a questi tempi interessanti. Qui vedo addirittura un progetto, mi pare che ci siano temi intriganti». L'atmosfera delle Corderie mette a suo agio lo scrittore. «Mi dispiace che siano state coperte le colonne che davano prospettiva». E tra le opere dell'inglese Ed Atkins e le facce sfigurate che appaiono in alcuni video accanto a grandi attaccapanni pieni di vestiti dice: «Qui esce il mio modo di essere teatrale - racconta - E le cose si capiscono nelle differenze. C'è la maschera e c'è la parrucca. La prima è finzione che può portare alla verità; la seconda è pura menzogna. Dove c'è una parrucca c'è falsità; la maschera ci offre un approccio alla verità». Alle fake news il passo è breve. «Oggi è più chic parlare di fake news più che essere influezati dalle fake news. E quel che è peggio sta nel fatto che se ne parli, le realizzi. Le rendi vere». La camminata prosegue e ci si ferma nella stanza ricavata per i filmati di memorabilia dell'americano Alex Da Corte. È pieno di gente. «Qui le persone si rilassano, si abbandonano alle musiche, alle animazioni di Bugs Bunny e Daffy Duck. Non è un caso che prevalga il colore rosa». Infine l'ultima tappa: il Padiglione Italia. Questo mega-labirinto con le opere di Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro sotto la direzione di Milovan Farronato. «Però, deve aver avuto pochi soldi nel budget - dice - Mi sembra un progetto povero e anche confuso. Ma siamo sicuri che un labirinto sia confusione? Di certo non ha nulla a che vedere con Borges. E non ci trovo nemmeno Calvino come vorrebbe farci credere l'organizzazione». Piglia e porta a casa. Insomma, l'Italia non convince.
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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