Arrivato a metà dei suoi 80 anni, Woody Allen continua a parlarci di sé

Venerdì 7 Maggio 2021
Arrivato a metà dei suoi 80 anni, Woody Allen continua a parlarci di sé e, con leggerezza, dei suoi problemi, di un uomo sul quale gravano da tempo accuse gravi sempre respinte, che gli sono costate immagine, affetti familiari, relazioni professionali, riassunti in quell'esilarante, sofferta e imperdibile autobiografia che è A proposito di niente; e di un regista che usa il fare film come una cura di sopravvivenza, raccontando almeno una volta all'anno i suoi amori, le sue paure, attraverso storie e personaggi perché in fin dei conti Allen è sempre stato fedele a se stesso, con un'idea ben precisa e irrinunciabile di cinema, a cominciare da quei titoli di testa che sono già una firma, nella loro forma estetica e sonora. Certo in questo suo bisogno di marcare una presenza continua, a volte i film, specie in questi ultimi tempi, vengono bene, come Blue Jasmine e La ruota delle meraviglie, e più spesso meno bene, come quest'ultimo Rifkin's festival, tra i meno ispirati e più senili, adagiato blandamente su una specie di riassunto generale della sua percezione del mondo. E del suo cinema, ovviamente. Siamo nella bellissima città basca di San Sebastián. Qui arriva, in pieno festival cinematografico, Mort Rifkin (Wallace Shawn, puntualmente alter ego di Allen), ex professore di cinema, in problematica attesa di dare alla luce il proprio romanzo della vita accompagna la moglie Sue (Gina Gershon), press agent, in fregola per il giovane, seducente e vanitoso regista Philippe (Louis Garrel). Rifkin, che non solo detesta l'ambiente ma deve controllare i movimenti della consorte, accumula mille problemi fisici anche come scusa per ricorrere alle cure della dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya), di fatto immaginando di pareggiare le scorribande della moglie. La lontananza da New York poi fa il resto: insomma Allen si mette ancora una volta davanti a uno specchio.
Su questo esile canovaccio, che inizialmente strappa qualche sorriso ma alla lunga mostra un fiato corto, e con la consueta, straripante tavolozza di colori saturati di Storaro (qui al quarto film insieme), Allen irrompe con una specie di bignami riassuntivo del suo afflato cinefilo, con inserti in bianco e nero, dove finisce dentro i film della sua vita, come nel rovescio puntuale di La rosa purpurea del Cairo. Sfilano Bergman, Fellini, Truffaut, Godard, Buñuel, Lelouch (i titoli sono facilmente intuibili, quasi banali), dove solo la Morte di Christoph Waltz (Il settimo sigillo) comporta davvero un esilarante colpo di genio, grazie anche all'attore, che paradossalmente insegna come ritardare il suo incontro fatale. E, ovviamente, Allen si aggiudica un'opzione singolare: fare film.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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