Antonio Faraò alla Nave de Vero «Voglio sorprendere il pubblico»

Mercoledì 24 Luglio 2019
L'INTERVISTA
La rassegna Nave de Vero in Jazz del centro commerciale di Marghera chiude venerdì alle 21.30 invitando il pianista e compositore romano Antonio Faraò, insieme ad artisti d'eccezione: Dennis Chambers (alla batteria); Gary Grainger (basso); Enrico Solazzo (tastiere); Chase Baird (sassofono) Simona Bencini, storica voce dei Dirotta su Cuba; il rapper londinese Dynamite MC. Eklektik è il più recente progetto di Faraò, un lavoro dalle sonorità fusion e funky.
Da quanto tempo collabori con questa eclettica formazione e come si è creata?
«È una mia idea. Generalmente si tende a scegliere altri musicisti che suonano in modo a te affine, che hanno lo stesso tuo linguaggio. Ma la formazione così composta è nuova: credo che sarà una bella sorpresa anche per il pubblico».
E l'album Eklektik com'è nato?
«È nato intorno al 2004: ci avevo lavorato con il bassista Dario Rosciglione, arrangiando i miei brani, ma poi il progetto in quel momento non è decollato e più tardi l'ho ripreso e ho rifatto tutto da capo. Ci ho lavorato 2 anni. E ora di Eklektik vado molto fiero. I critici hanno sempre bisogno di etichettare, anche ciò che non va etichettato, non capisco perché».
Da dove trai l'ispirazione per le tue composizioni e come la traduci in musica?
«Dal mio passato, dalla mia infanzia, anche da brutti ricordi: non c'è una regola. Un anno fa, ad esempio, ho sentito di dover scrivere un brano sui bambini siriani (o forse su tutti i bambini), Syrian Children, che non ho ancora registrato. Sono molto sentimentale e nostalgico. In genere, quando mi viene in mente un ritmo, una melodia, un accordo, memorizzo subito registrando con il cellulare, ma anche qui non c'è una regola».
La tua è una famiglia musicale (padre, madre, fratello, cugino): quanto ti ha influito?
«Non è matematico diventare musicisti, bisogna essere portati. Però sicuramente ascoltare vinili di buona musica dall'età di 2 anni, mi ha agevolato. Ed anche la loro iniziativa di portarmi ai concerti: a 6 anni, nel 1971, al Lirico di Milano a sentire Ella Fitzgerald con Count Basie».
Che rapporto hai con il pianoforte?
«Non ho il classico rapporto amore-odio: studio tutti i giorni (sennò sto male); tendo a mettermi in gioco, e se qualcosa non funziona me la prendo con me stesso. Quindi amore, sicuramente. Odio no».
Suoni più all'estero che in patria: ti trovi meglio?
«Mi capita così, sono stato coinvolto nei progetti di altri musicisti stranieri, ho registrato per un'etichetta tedesca e a New York. Mi trovo bene soprattutto a Parigi perché si è più sulla scena internazionale e mi sento apprezzato artisticamente».
Prossimi progetti?
«Un Eklektik 2 (i critici sono avvisati), e un disco in trio con il bassista Ira Coleman e il batterista Mike Baker, tendenzialmente più acustico».
Elena Ferrarese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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