Al dio ignoto, un racconto doloroso sulla soglia dell'addio

Lunedì 4 Maggio 2020
LA PELLICOLA
Un film che parla di malati terminali, che trascorrono l'ultimo spicchio di vita in hospice, luoghi e strutture confortevoli dove attendere con serenità la morte: non è forse l'ideale che Al dio ignoto trovi spazio adesso per la distribuzione, anche se ormai l'unico modo per arrivare a un pubblico è l'offerta in streaming (il film è visibile sulla piattaforma Chili); però è anche vero che in questo tempo di Covid-19 e con l'apprensione di dover fare i conti con una realtà pericolosa, questo film porta a confrontarci con la morte in modo diretto e urgente, solitamente invece, come tabù impone, rimossa dai nostri pensieri.
OLMI E DINTORNI
Rodolfo Bisatti, regista padovano, oggi 60enne con diverse esperienze alle spalle, che ha gravitato nell'universo cinematografico di Ermanno Olmi, racconta una storia dolorosa di persone sulla soglia dell'addio alla vita e al tempo stesso quella di una mamma che ha perso per leucemia la propria giovane figlia e che adesso elabora il lutto assieme all'altro figlio Gabriel, dopo essere stata abbandonata anche dal marito. Spiega Bisatti: «Non è stato facile trovare i soldi per fare questo film. Era da tempo che volevo filmare l'esperienza degli hospice. Si pensi che nel 1999, a Brescia, su spinta di Olmi, sono stato il primo a entrare in una di queste attività sanitarie e filmare l'attesa della morte, che è vissuta in modo diverso, così lontano dalla medicina aggressiva ufficiale: qui il destino a non poter guarire è vissuto in modo più spirituale, senza l'ospedalizzazione traumatica. Ancora oggi non è facile attivare questo percorso alternativo, come avviene in altri Paesi, ma l'Italia, in questo campo, si dimostra una nazione arretrata, dove il diritto a morire in maniera dignitosa è negato in modo atroce».
TRA MERANO E TREVISO
Girato tra Merano e Treviso, in un autentico hospice a contatto anche con malati veri, Al dio ignoto conta sull'apporto attoriale di Paolo Bonacelli («Lo ricordavo in Salò di Pasolini, film e interpretazione che hanno lasciato in me un segno forte») e un comparto di attori ormai ricorrenti nel cinema di Bisatti, a cominciare da Laura Pellicciari, oltre all'esordio del giovane Francesco Cerutti, del quale il regista svela un particolare significativo: «Ho cercato a lungo un volto per quel personaggio, poi quando mi hanno raccontato la vera storia di questo ragazzo, che aveva perso la sorella anche nella realtà, ho capito che il ruolo era suo. E credo sia stata una scelta felice».
Un film che mira a una rappresentazione diretta della realtà, in modo documentaristico, nonostante l'apporto di una sceneggiatura importante: «Sì, ho cercato di mescolare la forma espressiva degli attori professionisti con una spontaneità che emergesse nei piccoli gesti quotidiani dell'habitat sanitario, con uno sguardo neorealista rosselliniano. Credo che la dolorosa esperienza che stiamo vivendo con il coronavirus porti un'attualizzazione molto forte al mio film, in un Paese dove la svendita della sanità pubblica ha portato ai risultati che abbiamo visto. In questo senso il mio è anche un film politico, ma non in modo radicale, bensì più votato a una visione esistenzialista del dolore e della morte, in un senso quasi sacrale».
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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