Regioni speciali, il ministro apre alla collaborazione

Domenica 15 Luglio 2018
PAROLA DI MINISTRO
UDINE «Le Regioni a Statuto speciale sono un riconoscimento costituzionale, nascono con la Carta e hanno caratteristiche che derivano da una loro storia. Per cui la specialità di quelle Regioni è una tutela che deve garantire lo Stato, ovviamente in un'ottica di collaborazione e non di contrapposizione».
Così l'altro giorno il ministro degli Affari regionali Erika Stefani (Ln) al termine della Conferenza delle Regioni in cui ha sottolineato che «il regionalismo è insito nel Dna dell'Italia» e perciò «il rapporto tra lo Stato e le Regioni non deve essere di contrapposizione, anzi, perché lo Stato è fatto di Regioni».
Asserzioni che potrebbero essere considerate ovvie, ma che in realtà assumono una connotazione particolare arrivando dopo anni in cui, anche in Friuli Venezia Giulia, lo Stato è stato sentito più come gabelliere (i sindaci all'epoca dell'extragettito Imu) e un esattore pronto a incamerare risorse con decisioni unilaterali in nome della partecipazione delle Regioni al coordinamento della finanza pubblica.
Noto è poi il generale malessere nelle aule parlamentari a proposito delle Regioni a Statuto speciali, abitualmente considerate nel loro complesso e non nella loro varietà di situazioni pensate come luogo di privilegi anziché di responsabilità.
Una storia che, in definitiva, ha alleggerito in maniera significativa le disponibilità del bilancio regionale. Da qui il pressing già avviato dal presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, per un riequilibrio dei rapporti finanziari tra il Friuli Venezia Giulia e lo Stato, senza il quale non si dà specialità. Un percorso non facile, ma che, stando alle dichiarazioni del ministro Stefani, dovrebbe trovare a Roma un contesto quanto meno non pregiudizialmente ostile. «Nessuno come i presidenti delle Regioni sa rappresentare le esigenze del territorio ha continuato l'altro giorno il ministro -. Ascoltare loro è l'unico modo che ha lo Stato per aprire come è fatto il suo territorio». Musica, probabilmente, per il vice presidente della Regione, Riccardo Riccardi, che era presente alla seduta della Conferenza delle Regioni e che ha rilanciato il concetto, forse a futura memoria, su Facebook: «L'Italia si basa sulla leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni». Certo però che in patria occorre avere ben chiaro il valore della Specialità, poiché cittadini consapevoli possono essere un supporto strategico per i rappresentanti politico-istituzionali che sono chiamati a difenderla e potenziarla a Roma.
IL CONVEGNO
Un punto, questo, che è stato tra quelli evidenziati ieri a Lignano Sabbiadoro nel corso del convegno Quale futuro delle Regioni? Un confronto sulle dinamiche evolutive del regionalismo italiano, con i costituzionalisti Luca Mezzetti, ordinario di Diritto costituzionale a Bologna, ed Elena D'Orlando, docente di Diritto pubblico comparato all'Università di Udine e il vicepresidente della Regione Riccardi.
È «decisivo», ha sostenuto il vice presidente, «far conoscere a tutti i nostri cittadini le ragioni dell'autonomia per riuscire a ottenere un consenso vasto e popolare sulle ragioni e l'importanza della specialità» e accanto a ciò far comprendere «quanto è cruciale avere strumenti che consentano di esercitarla». Se questa è la sfida, più in generale - ha avvertito il vice presidente - in Italia «si apre il rischio che il regionalismo si riduca solamente a delle grandi aziende sanitarie», come conseguenza di risorse sempre più limitate a fronte della necessità di garantire un servizio primario». Se ciò accadesse, «sarebbe una sconfitta rispetto alla necessità di un efficientamento dell'Italia».
Quanto al rapporto con le Regioni a Statuto ordinario, «occorre evitare di ingaggiare una battaglia tra poveri», perdendo di vista l'obiettivo di «maggiore efficienza delle Regioni a garanzia del servizio ai cittadini». In ogni caso, ha concluso Riccardi facendo riferimento anche al Patto dei governatori di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e Liguria firmato a Trieste prima del voto regionale ad aprile, «non avrei problemi ad accettare venti Regioni speciali, se questo comportasse per tutte ottenere il risultato di un buon governo».
A.L.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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