Ospedale ancora sotto pressione «Mancano posti nei reparti»

Domenica 24 Gennaio 2021
Ospedale ancora sotto pressione «Mancano posti nei reparti»
IL QUADRO
UDINE Non si allenta la pressione sull'ospedale di Udine, costretto a far fronte all'onda d'urto di un virus che non concede tregue. Sono ancora tanti, troppi, i contagi in corsia, che in qualche caso hanno costretto a ridurre posti letto (come all'Unità coronarica, bersagliata dai casi di positività e in parte riaperta da martedì sera) o a trasformare sezioni normali in aree covid (è il caso della prima Medica A). L'effetto si vede al Pronto soccorso, la prima linea delle prime linee e il punto in cui, in caso di carenza di posti letto, si crea il collo di bottiglia. Che negli ultimi tempi non riguarda tanto i pazienti contagiati dal coronavirus, ma quelli colpiti da una patologia di altro tipo. Come spiega il direttore del Pronto soccorso Mario Calci, «negli ultimi dieci giorni i numeri sono stabili. Riusciamo a ricoverare in reparto i pazienti covid, ma il problema è più nei reparti normali, dove ci sono numerosi contagi e questo blocca la gestione della parte verde dei pazienti non covid. Facciamo fatica a collocare i malati che non sono positivi al virus, perché la pressione su tutto l'ospedale resta alta e coinvolge tutti i reparti». Insomma, al problema di gestione dei positivi, ora «si sovrappone quello dei pazienti non covid».
I CASI
Anche all'AsuFc si sarebbero verificati i primi casi (già accaduti altrove in tutta Italia) di sanitari risultati positivi ai tamponi di screening dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino. Il condizionale è d'obbligo perché non c'è conferma ufficiale. Ma il segretario delle Rsu Massimo Vidotto spiega che avrebbe ricevuto «le segnalazioni di almeno due casi, due persone che sono risultate positive dopo aver ricevuto la prima dose. Una persona è asintomatica, un'altra presenta sintomatologia lieve», sostiene Vidotto. In un caso, «dopo il vaccino il 12 gennaio, la persona è risultata positiva allo screening il 19». Nel secondo caso, «la persona era già stata contagiata. È rientrata al lavoro a Natale dopo due settimane di isolamento. Il 10 gennaio ha fatto il vaccino e lunedì scorso, il 18, è risultata positiva al test, con sintomatologia lieve», sostiene Vidotto. I casi non sono arrivati all'orecchio della direzione medica di presidio e neanche all'attenzione dei laboratori, dove invece i fari sono puntati soprattutto sulle reinfezioni. «Altrove, le segnalazioni di persone che si sono positivizzate dopo la prima dose di vaccino ci sono già state - rammenta il direttore di dipartimento di Medicina di laboratorio Francesco Curcio -. Il Comitato tecnico scientifico ha ritenuto che in questi casi non si debba procedere con la seconda dose. Sicuramente, invece, quando inizieremo a vedere una certa significatività di riammalati, su questi faremo il sequenziamento» del genoma del virus. Di certo, a chiedere lumi ai vertici dell'AsuFc è il gruppo dirigente della Cisl Fp, che vuole capire «se ci sono casi noti di dipendenti vaccinati solamente con la prima dose che siano risultati positivi ai tamponi di screening».
IL SINDACATO
In un documento inviato ai vertici aziendali Nicola Cannarsa, Massimo Vidotto, Fabrizio Oco, Giuseppe Pennino e Marco Oco «a fronte delle gravi criticità in cui versano molti servizi per il crescente numero di accessi e ricoveri di persone» positive e della «presenza di contagi anche importanti tra pazienti e personale» hanno sollecitato intervalli più stretti per i test di screening, con tempi omogenei fra i vari reparti. «Se comprensibilmente dove si verificano focolai lo screening avviene ogni 2 giorni o addirittura una volta al giorno - attualmente nei reparti di Medicina a Udine -, in altri casi - reparti covid - avviene ogni settimana circa. Il restante personale ci risulta venga testato ogni 15 giorni e addirittura una parte importante solo una volta al mese con tampone molecolare. Negli ultimi due mesi si sono verificati molti contagi nei servizi e reparti tradizionali. Testare una sola volta al mese in questa fase il personale non consente di garantire la sicurezza del personale, dell'utenza e delle strutture». Il sindacato chiede intervalli più brevi «introducendo anche l'utilizzo dei tamponi rapidi». La Cisl chiede poi l'utilizzo, «in primis nei reparti covid» di «maschere facciali più performanti». E poi c'è il problema dei dipendenti del Dipartimento di salute mentale: «Siamo a chiedere con insistenza che al Dsm si provveda ad eseguire i tamponi sia per il personale che per i pazienti sospetti covid. Si continua tuttora ad esporre i colleghi dei Centri di salute mentale e territoriali - scrivono i sindacalisti - ad un elevato rischio di contagio perché costretti ancora oggi ad accompagnare con l'auto di servizio» i pazienti nei punti tampone. In linea generale, la Cisl ritiene anche «indispensabile che i test di screening vengano eseguiti nei servizi dove il personale opera», mentre oggi molti dovrebbero «recarsi a fare i tamponi in giorni e orari fuori servizio, di smonto notte e di riposo e alcuni sono costretti a fare anche 50-60 chilometri in orari extra-lavoro e questo è oramai inaccettabile».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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