LA STORIA
TARVISIO Ci sono voluti quasi 25 giorni per uscire dall'incubo del

Lunedì 20 Aprile 2020
LA STORIA
TARVISIO Ci sono voluti quasi 25 giorni per uscire dall'incubo del Covid-19. Tre settimane difficili vissute tra febbre alta, svogliatezza, distacco obbligato dagli affetti più cari e dalla necessità di metabolizzare il dramma della morte della madre. Poi, sabato, la notizia tanto attesa: entrambi i tamponi, fatti a 24 ore l'uno dall'altro, sono negativi. È la liberazione da un'esperienza che, seppur vissuta in compagnia del figlio, ti segna dentro. Al momento Egon Concina è l'unico esponente di un'amministrazione comunale della Valcanale a essere risultato positivo al Covid-19. Un contagio preoccupante, anche in virtù del suo ruolo di coordinatore della Protezione Civile di Tarvisio. Concina, insieme al figlio, risulta positivo al Coronavirus il 24 marzo. Il giorno prima sua madre viene ricoverata per una glicemia alta. Proprio in ospedale le verrà riscontrato il virus che se la porterà via in pochi giorni. Fino a oggi Maria, 84 anni, è l'unica vittima della valle.
Come si è accorto di aver contratto il virus?
«Mi ricordo che ho iniziato ad avere la prima febbre nella notte del 21 marzo. Quel giorno ero rientrato da un turno di Protezione Civile e ho capito che qualcosa non andava. Ho così deciso di non uscire più da casa. Il 23 è stata ricoverata mia mamma e le hanno fatto il tampone che è risultato positivo. Il giorno dopo è toccato a me e a Giulio».
E sono cominciate le interminabili giornate in totale isolamento.
«Giulio e io siamo rimasti confinati in un appartamento, mentre mia moglie Susy e suo fratello Roberto, le uniche persone con cui eravamo entrati in contatto, erano in un altro. Il vero problema è riuscire a fare le cose più normali, come può essere mangiare o cucinare. Non poter avere vicino la donna che hai sempre al tuo fianco e con cui hai condiviso quasi trent'anni della tua vita, non è facile. Certo, ci vedevamo ogni giorno con le videochiamate, ma non è la stessa cosa».
La compagnia del figlio si è rivelata fondamentale.
«Sicuramente, Giulio mi è stato sempre vicino, soprattutto quando avevo la febbre alta. Ovviamente, stare chiusi in casa contribuisce ad aumentare il nervosismo. Però poi ti abitui. Noi abbiamo passato il tempo parlando o, quando non ero a terra, giocando con alcuni giochi di società. Poi ci sono stati momenti in cui non avevo voglia di fare nulla, tutto mi infastidiva, anche il solo guardare la televisione».
Ci sono stati momenti particolarmente difficili?
«La notte quando mi svegliavo d'improvviso perché sognavo le mascherine e il virus. Poi ho alcuni momenti in cui non ricordo nulla. Vuoti probabilmente causati dalla febbre».
Ha mai avuto paura?
«Vera paura no. Alcune volte ho avuto la febbre oltre 39° e se avessi avuto problemi a respirare, cosa che non mi è mai successa, mi avrebbero probabilmente ricoverato. Per fortuna non è servito. Pensandoci ora mi rendo conto che mi è andata bene. Ma come accade anche quando fai gli interventi con la Protezione Civile, pensi queste cose solo a posteriori».
Non ha avuto paura neppure per suo figlio?
«No, alla fine lui ha avuto solo tre giorni di febbre. L'ho visto sempre reattivo, la sua vicinanza mi ha aiutato molto».
Il pensiero costante, però, andava alla mamma.
«Sì. Ogni volta che squillava il telefono, il pensiero andava all'ospedale. Noi potevamo chiamare una volta al giorno e spesso a tenermi aggiornato era mia moglie, che chiamava a Palmanova e poi mi raccontava».
Nonostante tutto, è riuscito a seguire il lavoro dei suoi colleghi della Protezione Civile?
«Per quanto ho potuto sì. Ho avuto un confronto quasi giornaliero con il mio vice Marco Zambenedetti, un giovane di 27 anni che si è trovato catapultato a gestire la cosa, ma che ha dimostrato di saper lavorare davvero molto bene».
Riprenderà subito il suo impegno?
«Sì, anche se non subito. Da domani (oggi ndr) devo sistemare alcune cose personali. Poi sono pronto a rientrare seppur in maniera soft. Non voglio interferire con gli equilibri che il mio vice è riuscito a creare».
Purtroppo la felicità di essere finalmente usciti dall'incubo, per lei non può essere piena.
«Questo virus si è portato via mia mamma. La cosa più brutta di questa vicenda è che non ti permette di stare vicino ai tuoi cari quando si ammalano. Quelli sono i giorni in cui dovresti stare ancora di più al loro fianco e non puoi farlo. Poi succede, come a me, che non puoi neppure dargli una degna sepoltura. Fa davvero tanto male. Per questo la prima cosa che farò appena potrò uscire sarà andare in cimitero così potrò finalmente salutare mia mamma».
Qual è il giudizio che può dare alla gestione dell'emergenza?
«Posso dire che il sistema funziona bene. I medici e gli infermieri sono sempre stati molto gentili e questa è una cosa fondamentale. Sia a livello di Dipartimento sia come Asl, abbiamo trovato umanità nelle persone. Lì la preparazione c'entra poco. Tra te e loro nasce un rapporto particolare, un filo conduttore che ti fa sentire davvero seguito, ma devi essere pronto a metterti nelle loro mani».
Nel frattempo Renzo Zanette, sindaco di Tarvisio, ha comunicato ieri che i guariti sono tre, cosa che porta a cinque il totale di persone uscite dall'incubo. Un numero che a breve potrebbe aumentare ancora. Un segnale che anche Tarvisio, nel suo piccolo, sta rialzando la testa.
Tiziano Gualtieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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