L'INTERVISTA
UDINE Quando parla del suo lavoro, il suo futuro lavoro, le si illumina

Martedì 31 Marzo 2020
L'INTERVISTA UDINE Quando parla del suo lavoro, il suo futuro lavoro, le si illumina
L'INTERVISTA
UDINE Quando parla del suo lavoro, il suo futuro lavoro, le si illumina lo sguardo. Silvia ha 25 anni. Nata e cresciuta nel vecchio triangolo della sedia, ha scelto il blasonato ateneo di Padova per indossare un camice bianco. Se lo sente già cucito addosso, con tutto l'entusiasmo di raggiungere un traguardo importante e tanta voglia di imparare. Silvia sta per laurearsi e, come tanti suoi colleghi, forse non avrebbe mai immaginato di entrare in corsia ai tempi del Covid-19. Tempo di tirocini per l'abilitazione per lei, iniziati a Padova, «per centralizzare spiega ma alcuni sono andati nei centri periferici, chi, come me, aveva un'auto con cui potersi muovere».
SUBITO NELLA MISCHIA
Così si è ritrovata all'ospedale di Schiavonia, che oggi è un Covid hospital del Veneto. Il Madre Teresa è stato riaperto il scorso 7 marzo, dopo 16 giorni di chiusura dovuta ai primi contagi di Coronavirus registrati nel nosocomio. Così una giovane laureanda si è ritrovata nel vortice: 3 giorni di tirocinio al Madre Teresa al posto di 100 ore. Solo tre giorni perché il sistema ha poi valutato che fosse troppo rischioso, trasferendo lei e altri colleghi a Campo San Piero al dipartimento di prevenzione. Ma quei tre giorni se li porterà dietro, un'esperienza che solo qualche mese fa i futuri medici non avrebbero mai vissuto. Non vuole apparire Silvia, nessuna fotografia, «in fondo dice con umiltà non ho fatto nulla di che. Ci si guardava attorno, c'erano tensione e stanchezza. Si cercava di capire cosa e come fare nei giorni seguenti e, sinceramente, avevo la curiosità di capire come sarebbe stata gestita la situazione» in quello che sarebbe diventato un hub Covid.
LA LEZIONE
Solo tre giorni, ma ha imparato, visto, osservato, fatto bagaglio degli insegnamenti. Viene da pensare che la prima sensazione a cogliere una ragazza di 25 anni sia la paura. Non è così. «Ero in un reparto no Covid racconta e con i dispositivi di protezione individuale ero abbastanza tranquilla. Prima stavo facendo un tirocinio in medicina interna e d'urgenza, ero felice, ma da lì non traspariva tutto quello che accadeva. Poi sono arrivata a Schiavonia ed è stato tutt'altra cosa». Solo tre giorni, dunque, prima di ricevere una circolare con cui si comunicava che là non avrebbero più accettato tirocinanti: difficile anche per i medici seguirli. In tempi di Covid anche insegnare dentro un ospedale diventa un lusso, ma se ci fossero altri laureandi che stanno facendo la sua stessa esperienza, Silvia dice semplicemente: «Se c'è una persona che vi affianca, fidatevi». La voglia di imparare che supera la sensazione del pericolo, futuri medici coraggiosi che vogliono rendersi utili ma sono consapevoli dei propri limiti, «in corsia magari sarei stata d'impiccio più che d'aiuto». Eppure quel tirocinio l'ha scelto, buttandosi con coraggio, un coraggio che invoca per tutti «e per tutte le situazioni che ci ritroveremo a vivere». Parole che non stupiscono dette da una ragazza che punta a diventare cardiochirurgo, una branca tosta soprattutto per una donna, una giovane donna che non si è lasciata travolgere dalla paura. Quella paura che hanno vissuto i suoi genitori, più preoccupati di lei.
SEMPRE IN VENETO
Oggi Silvia inizia alle 8 del mattino e senza sosta contatta telefonicamente i pazienti che si trovano in isolamento domiciliare per assicurarsi del loro stato di salute, con tanto di sospiro di sollievo di mamma e papà. Lei e i colleghi gestiscono fino a 1.200 chiamate in un giorno, «contattiamo i pazienti in quarantena. Molti ci ringraziano e sono tendenzialmente tranquilli. Alcuni si preoccupano per gli aspetti legati alla gestione familiare. Altri hanno un familiare o un parente ricoverato e, in quel caso, il timore sale». Un bel carico di lavoro anche questo, eppure «vorrei fare di più dice rimarrò qui fino all'8 aprile, poi mi mancano ancora due mesi di tirocini, ma non si sa ancora cosa succederà. Non so nemmeno quando potrò rientrare a casa in Friuli». Dovrebbe laurearsi a giugno, se il Covid glielo consentirà. E alla domanda: Lo rifaresti? risponde con la semplicità e l'onestà di chi ha solo 25 anni e tanta voglia di fare: «Certo. Se me lo chiedessero, tornerei». Parole che suonano come un'iniezione di fiducia nel sistema sanitario, nei camici bianchi di oggi e in quelli di domani.
Lisa Zancaner
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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