L'INTERVISTA
MORTEGLIANO «I primi giorni sono stati duri. All'inizio, quando

Giovedì 9 Aprile 2020
L'INTERVISTA
MORTEGLIANO «I primi giorni sono stati duri. All'inizio, quando non si sapeva ancora che ci fossero i casi di coronavirus alla casa di riposo di Mortegliano, noi medici non avevamo nessun presidio di protezione, neanche la mascherina, niente. Fino a quando non abbiamo avuto la certezza del contagio ed è scattato l'allarme. Abbiamo fatto i tamponi. E' andata bene».
Lo può raccontare tirando un sospiro di sollievo, ora, Ezio Beltrame, ex assessore regionale alla Sanità tra il 2003 e il 2008 nella giunta guidata da Riccardo Illy, medico di base, del sindacato Fimmg, che in queste settimane ha seguito gli ospiti della struttura, diventata un focolaio di Covid-19. Soprattutto perché nel frattempo, dopo i 17 morti fra i pazienti contagiati alla Rovere Bianchi, nella struttura «la situazione è molto più tranquilla, anche grazie al prezioso supporto dei due colleghi del distretto, Cattani di Codroipo e Branca di San Daniele, che affiancano noi quattro di Mortegliano. Altrimenti sarebbe dura: vai su e giù dalla struttura e fai anche le visite agli altri pazienti, devi stare attento a non fare danni». Ma, da ex assessore e, soprattutto da medico di base in prima linea, pur senza alcuna velleità di suscitare polemiche «che non servono», Beltrame non può fare a meno di notare come sia «mancata una regia forte dell'emergenza in campo sanitario. L'assessore Riccardi si dà fare, ha seguito molto bene la Protezione civile, ma nel settore sanitario ha bisogno di una mano in più, di una cabina di regia più efficiente».
MORTEGLIANO
Un mese fa, l'inizio dell'odissea alla casa di riposo di Mortegliano. «Giovedì 5 marzo ricorda Beltrame abbiamo avuto i primi casi con febbre fra gli anziani. È stato chiuso l'accesso ai parenti, che già nei giorni precedenti era stato regolamentato: entrava un parente alla volta. Il sabato dopo una dipendente, che è anche mia paziente, ha avuto febbre. Ha fatto il tampone già domenica, lunedì sono arrivati i risultati: era positiva. Abbiamo allertato tutti. Non è vero che sia stata la dipendente a portare il contagio come qualcuno ha riportato, probabilmente l'avevano già presa gli anziani che già due giorni prima avevano febbre».
Subito, i tamponi per tutti e la valanga di positività. La casa di riposo è stata «divisa in tre settori: per i negativi, per i positivi più gravi e quelli in condizioni migliori. Abbiamo avuto un ottimo aiuto dall'Aas: ci hanno girato 4-5 infermieri e i due colleghi. Abbiamo avviato la terapia antivirale e ricevuto 2 ventilatori dal Gervasutta».
IL DOLORE PER GLI ANZIANI
Da medico di paese, per Beltrame è stato traumatico dal punto di vista umano, con tutti quei morti. «Tanti ricordi, con persone che conosci da una vita. Alcuni casi erano già malmessi da tempo, ma altri, pur ultranovantenni, stavano bene. Si chiacchierava Alcuni erano miei pazienti. Poi, quando capita la fase due del virus che distrugge i polmoni, è una cosa micidiale: persone che pensi di riuscire a recuperare oggi, domani notte muoiono».
E poi il dolore di chi resta. «Abbiamo dovuto chiudere la struttura, i parenti non potevano parlare con gli anziani. Poi ti trovi con il congiunto deceduto e già chiuso nella bara non riesci neanche a fare il funerale». Una situazione drammatica. «Con i figli di alcune vittime avevo familiarità già prima. Mi è toccato dire ai familiari che un loro parente era morto. In alcuni casi è stata veramente dura. Magari gli dicevi: oggi sta meglio, non ha più febbre. Poi, il giorno dopo peggiorava e il giorno dopo ancora era morto. Non è il massimo».
«Abbiamo ricevuto un'ottima collaborazione dal Comune, che teneva informati i parenti dei pazienti che stavano bene, mentre la Protezione civile ci ha dato una mano a trovare i farmaci. Noi medici abbiamo tenuto i collegamenti con i parenti dei pazienti che stavano male». Il telefono suonava sempre? «Saranno arrivate anche più di 300 telefonate. Siamo praticamente tutto il giorno in ambulatorio, dalle 8 alle 20. Poi, quando serve ci si scafandra e si va in casa di riposo».
Un lavoro di squadra con i colleghi della medicina di gruppo, che all'inizio erano disarmati. «Per qualche giorno abbiamo lavorato senza niente. Neanche mascherine, quando non c'era la certezza del contagio». Come medici di base «ufficialmente abbiamo ottenuto solo un kit sinora dall'Azienda, poi abbiamo dovuto arrangiarci. Abbiamo trovato un'azienda locale che ci ha regalato del materiale. In casa di riposo, i presidi ci sono».
LE CARENZE
La Regione è intervenuta in ritardo sulle case di riposo come sostiene qualcuno (anche il Pd)? «Fare polemiche adesso credo sia sbagliato. Come sindacato abbiamo fatto delle proposte. Abbiamo messo per iscritto che sull'emergenza sanitaria probabilmente serve una regia forte a livello regionale: mentre per la protezione civile c'è stata, per la sanità ci sono stati dei problemi. Quando siamo partiti non ci sono stati indirizzi unitari dai dipartimenti, per esempio sui tamponi che da qualche parte si fanno con una certa facilità, altrove con grande difficoltà. E poi la questione dei familiari di un positivo in quarantena e della loro riammissione al lavoro dopo 15 giorni con tampone. Non sempre è stato fatto: serviva un indirizzo preciso».
Secondo Beltrame «per i malati curati a domicilio si doveva creare un'unità territoriale che li seguisse». Perché, dice «si parla tanto di rianimazioni, ma quella è la punta della piramide. Oggi sono stati individuati dei reparti Covid, ma si poteva fare subito. Se a Udine certi reparti inizia a chiuderli, crei confusione. Anche le sale operatorie per un po' sono andate avanti con una programmazione di giorno in giorno. Si sarebbero potuti individuare dei reparti covid anche negli ospedali più piccoli, per i malati meno gravi, e tenere a Udine i casi estremi. Un'organizzazione così avrebbe permesso al resto delle strutture di lavorare in modo quasi normale. Non esistono solo i malati di coronavirus e bisogna pensare alla fase due».
Come giudica l'ex assessore l'operato di Riccardi nell'emergenza? «Dal punto di vista personale, non posso negare che ci sia stato un impegno serio. Secondo me, però, aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano per avere una regia forte nel settore sanitario».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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