IL RACCONTO
UDINE «Mai avrei pensato di vivere un'esperienza tanto ricca

Venerdì 20 Ottobre 2017
IL RACCONTO UDINE «Mai avrei pensato di vivere un'esperienza tanto ricca
IL RACCONTO
UDINE «Mai avrei pensato di vivere un'esperienza tanto ricca di emozioni, a pieno contatto con la natura più selvaggia e i suoi abitanti». Giovanni Rainone, 43 anni, di Udine, presidente e volontario della onlus Asinando, ha passato un brutto momento tra sabato e domenica, bloccato sulle montagne tra Lusevera e Taipana, tratto in salvo dopo una notte all'addiaccio dai militari della Guardia di finanza, dai volontari del Cnsas e dall'équipe medica dell'elicottero del 118.
«Sono partito alle 17 di sabato per recuperare i guinzagli dei miei due cani, Gromit e Belle, che avevo usato in precedenza per calarmi da un balzo di roccia; mentre sono intento a liberare i guinzagli legati a un albero che sporge dalla cima della roccia, sento belare un agnellino che da ormai due mesi vaga per le montagne con la mamma e la capra Paglia». Gianni, tecnico informatico, cura con amore e dedizione gli animali altrimenti destinati al macello, nello spazio della ex polveriera di Tanamea, in Alta Val Torre. A quel belare molla tutto e inizia cercare l'agnellino. «Mi allaccio presto al sentiero Cai 712 che conosco bene, e che ho già fatto in parte anche al buio, con l'aiuto delle stelle e della luna». Dopo circa 30 minuti di salita impegnativa, si accorge che la montagna è spaccata da uno squarcio profondo 30 metri e largo due: «Troppi metri per tentare un salto senza rischiare di ammazzarmi e, come se non bastasse, mentre mi aiuto con un ramo, sento una fitta che trafigge il fianco destro. È un brutto strappo».
Sono ormai le sei e un quarto di sera. Il buio arriverà inesorabile, tra meno di un'ora. «Tornare a scendere è improponibile - spiega Gianni -; lo strappo rende l'impresa impossibile. Mi guardo intorno. Mi trovo a circa 1100 metri di altezza, sulla cima di un crostone di montagna, sul lato nord del Monte Maggiore». Il panorama è di quelli mozzafiato: «davanti, come fosse alla mia altezza, vedo tutta la catena dei Musi e, infondo, sulla destra, la maestosità del Canin, sovrano su tutte le altre vette. Sono circondato da strapiombi». A sinistra, a valle, Gianni vede le distese di prati tanto amati dai cacciatori che da lì hanno mira facile per le loro prede. «Alla mia destra due canaloni, quello del Rio Plotavaca, fonte perenne per tutti gli animali della vallata, compresi i nostri, e più in là il canalone della vecchia funivia. Da quassù provo a gridare a Viviana, la mia dolce compagna, impegnata a valle a far pascolare liberi i nostri animali».
Sono sei asini, due cavalli e tre pecore. Con Viviana c'è anche il figlio di Gianni, di 5 anni. Lei lo sente. «Le dico di andare a casa perché non posso più scendere, di non preoccuparsi, che sto bene, che rimarrò qui per la notte e scenderò domani mattina all'alba. A quell'altezza, la mia voce risuona più volte: arriva a valle confusa ma Viviana riesce a capire. Così, mentre il buio scende, mi preparo a trascorrere la notte, quella che per me è, e sarà, una delle notti più belle della mia vita». Gianni inizia a guardarsi intorno per capire quale sia il posto più sicuro e riparato per un giaciglio. «Scelgo una buca composta principalmente da humus, frutto della decomposizione delle foglie degli alberi. Il mio giaciglio sarà morbido e allo stesso tempo mi proteggerà dalle correnti di aria fredda». Lì, infatti, ci sono solo 4 gradi. «L'autunno mi viene incontro: tutto intorno ci sono distese di foglie secche che diventano la mia coperta e il mio materasso, insieme all'humus. Arriva il buio, l'escursione termica è tanto brusca da risultare l'unico momento in cui il mio corpo trema alcuni secondi prima di ritrovare un suo equilibrio e adattarsi alle nuove condizioni. Sono appena agli inizi: devo trovare ancora qualche rimedio per affrontare il freddo della notte. Se non riuscirò a dormire bene, senza cena né acqua, domani mattina non avrò le forze per scendere a valle». Gianni si guarda: «Addosso ho un paio di pantaloni con tasconi, un cinturone, scarpe antinfortunistiche alte, una maglietta bianca sintetica a maniche corte e un paio di guanti attillati da elettricista. Mi tolgo la maglietta, chiudo le maniche e la fessura per la testa e mi ci infilo dentro come fosse un sacco a pelo; chiudo poi l'altra estremità dentro i pantaloni stringendo ancor più la cintura. La maglietta è elastica e traspirante: trattiene il calore del mio corpo; il mio stesso respiro contribuisce a generare un leggero tepore che mi concilia il sonno». Lo aiutano l'istinto di sopravvivenza, la preparazione che ha acquisito in grotta col gruppo speleologico friulano e l'esperienza in tenda con la Protezione civile a L'Aquila, dove le escursioni termiche tra giorno e notte arrivavano a 20 gradi.
«La notte, una di quelle che solo la montagna può regalare, grazie a un cielo limpido, è luminosa. L'intera Via Lattea e la luna rischiarano con luce tenue, naturale e discreta, tutta la vita del bosco. Mi sveglio più volte: muovendomi si aprono le maniche, lasciando entrare nel mio sacco a pelo spifferi di aria fredda. Percepisco attorno a me numerosi passi. Sono gli animali selvatici, ma non posso dire con esattezza di quali: mi camminano intorno. Vedo i riflessi dei loro occhi: mi fissano, mi guardano, mi girano intorno per capire chi sia questo strano intruso che di notte dorme nel loro bosco: un andirivieni di di occhi e di ombre, probabilmente camosci, cervi, caprioli, tasso, volpi e faine».
Paola Treppo
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