IL CASO
UDINE La Corte dei conti di Trieste ha condannato l'ex Soprintendente

Sabato 18 Maggio 2019
IL CASO
UDINE La Corte dei conti di Trieste ha condannato l'ex Soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici Fvg Maria Giulia Picchione a pagare, in favore della Soprintendenza stessa, poco meno di undicimila euro (10.954,11 euro, su cui, però, sono dovuti rivalutazione monetaria e interessi legali). Nel mirino dell'accusa, rappresentata dal Procuratore regionale Tiziana Spedicato, una serie di rimborsi di spese di missione ottenuti fra il 2012 e il 2015, che, per l'accusa, sarebbero stati privi dei presupposti normativi previsti.
LA VICENDA
La Procura contabile aveva citato a novembre scorso Picchione, chiedendo che venisse condannata a pagare all'ente le spese contestate. Come si legge nella sentenza, appena depositata, tutto nasceva dal provvedimento di archiviazione emesso nel 2016 dal gip del Tribunale di Trieste nei confronti di Picchione, nell'ambito del procedimento penale promosso a suo tempo per l'ipotesi di truffa a danno dello Stato o di un altro ente pubblico: dall'atto emergeva infatti la lista dei rimborsi per le missioni a Udine e a Roma fra il 2012 e il 2015. Anche il procedimento disciplinare a cui Picchione era stata sottoposta si era concluso «con l'esclusione di addebiti». La Corte dei conti, tuttavia, nell'emettere, al contrario, una sentenza di condanna, ha ribadito «la piena autonomia del giudizio» davanti al collegio contabile. Nella sentenza si ricorda come lo stesso pm del processo penale, nel chiedere l'archiviazione abbia sottolineato «come l'inconfigurabilità degli elementi costitutivi del reato contestato non escluda il possibile autonomo rilievo sul piano amministrativo-contabile». Ricordando che per trasferte entro 80 chilometri dalla sede di assegnazione il contratto stabilisce l'obbligo di rientrare in giornata, l'accusa contabile aveva puntato l'indice sul fatto che le missioni a Udine di Picchione si fossero svolte «sempre nel tardo pomeriggio-sera» richiedendo il pernottamento e che lei non avesse «una sistemazione stabile e a suo carico» a Trieste. Anche le trasferte a Roma sembravano cadere puntualmente «nel fine settimana» «con correlato accollo all'amministrazione delle spese di viaggio da e per Trieste». Il difensore di Picchione, Daniele Grasso, in una memoria, aveva contestato alla radice la fondatezza dell'accusa, anche ricordando la doppia archiviazione dei procedimenti penale e disciplinare, nonché l'indicazione della direzione generale del personale del Mibac che le sue missioni erano avvenute «per ragioni d'ufficio». Il difensore aveva rimarcato le difficoltà riscontrate da Picchione in una sede afflitta da rilevanti problemi organizzativi (a quanto emerge dalla sintesi in sentenza), che rendevano necessari continui spostamenti, soprattutto nell'ufficio di Udine (che, a detta dell'ex soprintendente, presentava le maggiori criticità e che, grazie alla sua intensa presenza, avrebbe recuperato il grave arretrato accumulato) e al ministero a Roma. Picchione aveva evidenziato di essere di norma rientrata a casa sua, in un comune fuori Roma, a proprie spese, con «oltre 130 viaggi».
LA SENTENZA
Nella sentenza, la Corte ha ritenuto «fondata» la richiesta dell'accusa. Non solo, le missioni contestate, per Udine e Roma, «non sono state oggetto di alcuna comunicazione» di Picchione alla direzione competente, ma la sua rendicontazione «si è tradotta in una mera autocertificazione delle trasferte, sostanzialmente sfornita di idonea documentazione giustificativa». Il Collegio non ha ritenuto adeguate le mail e le dichiarazioni dei colleghi. Un altro «fattore di significativa criticità», per la Corte, era il fatto che Picchione fosse anche il funzionario delegato per il placet «con la conseguenza che ha disposto direttamente in detta qualità i rimborsi a carico dell'amministrazione». Ossia, li autoliquidava. Per le spese di alloggio a Udine la Corte parla di «assoluta inammissibilità del rimborso», visto che Udine è la seconda sede della Soprintendenza. Non solo. «Si trova a meno di 80 chilometri da Trieste» e i collegamenti sono frequenti. Come scrive la Corte, «Picchione risulta aver organizzato i suoi spostamenti da Trieste a Udine pressocché sempre con partenza nel primo pomeriggio, trattenendosi molto spesso due notti». Ed evidenzia che l'attività svolta a Udine era «di natura ordinaria» e che Picchione «non risulta aver avuto una dimora stabile a Trieste nell'intero arco del triennio in cui ha diretto la Soprintendenza». Cosa che lascia «perplesso» il collegio. La Corte non ha ritenuto fondato l'assunto difensivo per cui le lunghe missioni udinesi sarebbero state legate ad una particolare gravosità del lavoro, ma ha ritenuto fossero «interventi di intensificazione dell'attività ordinariamente espletabili nel normale orario d'ufficio» con trasferte giornaliere. Nella sentenza la Corte sostiene che emergerebbe «un profilo speculativo nella condotta della Soprintendente, che, attraverso le missioni settimanali ad Udine, ha in concreto posto continuativamente a carico dell'amministrazione una parte cospicua delle spese di alloggio, che altrimenti avrebbe sostenuto integralmente per una sistemazione a Trieste». Censurate anche le missioni a Roma, la Corte ha concluso che la condotta di Picchione avrebbe «violato gravemente le regole» della disciplina vigente in materia di trasferta e che sarebbe emerso «un contegno di inescusabile negligenza, ai limiti del dolo contrattuale, volto all'utilizzo in modo autoreferenziale e speculativo dei meccanismi di rimborso spese».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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