«Dovevo donare un rene e ho scoperto di essere infetto»

Domenica 29 Marzo 2020
«Dovevo donare un rene e ho scoperto di essere infetto»
LA TESTIMONIANZA
UDINE Era tutto pronto per il trapianto: sua moglie avrebbe ricevuto un rene da un donatore compatibile e lui avrebbe donato un suo rene. Poi, la febbre che non voleva passare, il tampone all'ospedale di Padova e il verdetto: coronavirus. Sfumato il trapianto alla moglie, per Roberto Zilli, 54 anni, di Gemona, è cominciata la battaglia contro il Covid-19, durata quasi un mese e conclusa con una buona notizia. «I tamponi sono negativi, finalmente. Sono guarito a tutti gli effetti e sono molto contento». Per festeggiare, racconta, «dopo un mese ho bevuto una birra e mi sono fatto portare una pizza a casa. Ma sono riuscito a mangiarne solo un pezzo. Non riesco ancora a mangiare tanto». Lo spumante è in frigo, per quando sarà il tempo dei brindisi, da condividere con la moglie e il suo medico di famiglia. «Il dottor Paolo Isola mi ha aiutato tanto. Alla paura di morire, in certi frangenti, ci pensi. Non respiri, senti le cose che passano in tv Ma il medico mi chiamava due volte al giorno. Mi diceva: hai un compito, devi vedere di tua moglie, non puoi mancare adesso. Devi finire l'opera per il suo trapianto». Roberto ha stretto i denti e ce l'ha fatta, con sette chili in meno addosso. «Per il trapianto ci riproveremo, quando ci sarà un altro donatore compatibile. Speriamo arrivi, prima o dopo. Vediamo cosa dice l'ospedale. Per fortuna, con la procedura crossover, la lista di attesa non è così lunga. Mia moglie è entrata in dialisi a gennaio. Era una cosa eccezionale che fosse arrivato così presto».
Zilli, dipendente amministrativo, vuole lanciare un messaggio positivo, anche in un giorno in cui, in Friuli, il bilancio delle vittime è pesantissimo. «Non è un'influenza, è un'altra cosa. Ma se ne può uscirne. Bisogna essere positivi, avere a fianco persone come mia moglie, che ti dicono va tutto bene anche se non è così. E come il mio grandissimo medico di base, che gioiva dei miei piccoli progressi. Vedi, ti è tornato l'appetito, diceva. A ogni piccolo miglioramento ripeteva: Vedrai che andrà bene: oggi stai meglio di ieri. Piccole cose che ti fanno andare avanti. Sennò ti casca addosso il mondo». Il suo universo ha iniziato a sgretolarsi a Padova, quasi un mese fa. «Avevo la febbre. Saliva e scendeva, ma non sapevo di essere contagiato. Quando è arrivata la telefonata dell'ospedale di Padova, che era arrivato il rene, siamo partiti. Mia moglie avrebbe ricevuto l'organo da una terza persona e io a mia volta, che non sono compatibile con lei, avrei donato un mio rene. Ma quando ho detto che avevo avuto la febbre, mi hanno detto d fare i tamponi. E ho saputo di essere positivo. Il trapianto è saltato». Al rientro in Friuli, la febbre che sale e il fiato che manca. «Non riuscivo a respirare. Avevo già pronto il trolley per l'ospedale, ma il medico di base mi ha detto: aspetta un giorno. Mi sembrava di stare meglio e ho preferito proseguire a casa. Stavo in camera e in sala, non andavo in cucina, non toccavo niente di niente. Rimanevo a letto o sul divano e lei mi portava il cibo in piatti di plastica, poi tornava in cucina. La spesa me la sono fatta portare dal supermercato. L'azienda sanitaria mi chiamava per chiedermi come stavo, ma quello che mi ha supportato di più è stato il mio medico di base. Oltre a mia moglie, che, per fortuna, è negativa, una gran cosa. E anche i miei figli. La prima settimana l'ho passata a letto. Poi la febbre è scesa, ma la tosse era rimasta. Da una settimana non ho febbre e non ho tosse, Il primo e il secondo tampone sono risultati negativi. Voglio festeggiare anche con il mio medico: quando tutto sarà finito dobbiamo andare a mangiarci qualcosa assieme».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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