SUSEGANA
«Sono un ladro, non un maniaco e tanto meno un pedofilo».

Giovedì 20 Giugno 2019
SUSEGANA
«Sono un ladro, non un maniaco e tanto meno un pedofilo». Si era difeso così durante la sua deposizione il sessantenne autista dello scuolabus dell'associazione coneglianese Anteas finito a processo con l'accusa di violenza sessuale su una ragazzina disabile mentale, che al tempo dei fatti, avvenuti nell'aprile del 2016 nel tragitto da Susegana a Colfosco, aveva 17 anni.
«Mi ha costretto ad alzare la maglietta e mi ha toccato il seno» lo aveva accusato la giovane riferendo l'episodio alla madre, che poi aveva sporto denuncia. «Mi creda signor giudice - aveva ribattuto l'imputato durante il processo - a me piacciono le donne vere, non le bambine. Io non ho fatto nulla». Da ieri per il 60enne l'incubo è finito. Sia pur con la formula dubitativa l'uomo, difeso dall'avvocato Massimiliano Bruni, è stato infatti assolto per non aver commesso il fatto. Il pubblico ministero Mara De Donà aveva invece chiesto 1 anno e otto mesi di carcere.
A fare l'autista di scuolabus per l'associazione coneglianese l'anziano ci era arrivato attraverso i lavori socialmente utili che era stato chiamato a svolgere dopo la galera. Di lui hanno sempre parlato tutti bene, tanto che i dirigenti dell'Anteas si erano detti molto sorpresi delle accuse, su cui pendeva peraltro l'ombra di precedenti racconti della 17enne su presunte attenzioni di tipo sessuale ricevute da altri operatori. C'era stata anche una denuncia ma il caso venne archiviato perché non c'erano prove a sostegno delle accuse. «Io non le ho toccato il seno - aveva detto il 60enne - ma le ho dato un colpo con il braccio perché lei aveva avuto una reazione violenta nei miei confronti dopo che, nel riportarla a casa da scuola, l'avevo ripresa per il modo con cui aveva parlato al telefono con il patrigno». E proprio la testimonianza del marito della mamma della disabile potrebbe aver giocato un ruolo importante nella decisione del giudice, le cui motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. «Mi ha raccontato della violenza al telefono» aveva detto, prima di cadere però in svariate contraddizioni durante la testimonianza resa in Tribunale. Richiamato da giudice al suo dovere di testimone di dire la verità, l'uomo ha quindi ripetuto una serie di non mi ricordo.
L'imputato era presente in aula e al momento della lettura della sentenza è scoppiato in un pianto lungo e liberatorio, abbracciando il suo difensore. «Ho sbagliato nella mia vita .- ha detto - ma quelle cose... quello di cui mi hanno accusato mi fa proprio schifo. Sono innocente, adesso mi sento come se fossi rinato».
de.bar.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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