«Non siamo scimmie che ballano» Khezraji contro il Giavera Festival

Mercoledì 12 Giugno 2019
LA POLEMICA
TREVISO «La festa della cittadinanza è stata ancora una volta un'inutile passerella per mettersi in pace la coscienza. Ma per l'integrazione bisogna fare ben altro». Parole durissime quelle di Abdallah Khezraij (nella foto), che gettano un velo d'ombra sulla giornata di domenica scorsa in cui è festeggiata in maniera simbolica la cittadinanza d'Italia e del Mondo da Giavera alla piazza del Duomo di Treviso, grazie alla collaborazione di molte associazioni guidate da Giavera Festival.
L'ACCUSA
«Al netto della festa, questo pezzo di carta non serve a nessuno. Non è organizzare una festa di domenica che può cambiare realmente le condizioni dei cittadini stranieri. E mi dispiace moltissimo che i bambini e, lo dico con grande rispetto, anche il vescovo monsignor Gardin siano stati strumentalizzati. Noi stranieri non siamo scimmie da fiera. L'inclusione si costruisce con gesti concreti». Capo non riconosciuto ufficialmente ma senza dubbio carismatico degli stranieri a Treviso, presidente del festival italo-marocchino e di Cittadinanza Attiva, Khezraji ha deciso di mettere in chiaro il suo pensiero, indirizzando parole durissime nei confronti di una kermesse sempre più amata in città e attaccando «tutte quelle azioni solo di parata, che non hanno nulla a che vedere con l'integrazione vera». Nel mirino soprattutto la Festa della cittadinanza di domenica aperta da canti, balli e dall'apertura della bandiera delle bandiere con il saluto del Vescovo, dopo una biciclettata da Giavera del Montello, ma anche una certa tendenza delle associazioni trevigiane «a ridurre le diversità a puro folklore».
VERA INTEGRAZIONE
A colpire sono i toni, insoliti per chi, come lui, è abituato ai toni pacati e alle mediazioni. «Con tutto il dovuto rispetto per il Vescovo di Treviso, vorrei intervenire nella questione della Festa della Cittadinanza per i bambini, per affermare che, a mio parere, essa non ha più molto senso e che invece è quanto mai importante e necessario avviare un lavoro di educazione e di formazione per i bambini e per i giovani nelle parrocchie, nelle scuole, nelle circoscrizioni di quartiere, nei luoghi di lavoro, ribadendo che il vero valore della cittadinanza è soprattutto quello del rispetto reciproco, oggi più che mai disatteso». Ma il presidente del festival italo marocchino ha un bersaglio preciso. Ed è il Giavera Festival di don Bruno Baratto. «Era una novità vent'anni fa, ma oggi come oggi non può essere ridotta ad una esibizione di scimmie che ballano: noi cittadini stranieri non siamo tali; oppure essere vista come un'esposizione per sollecitare la pietà cristiana - accusa - mi dispiace molto per i circa 400 volontari che prestano la loro opera in buona fede, soprattutto perché credono nel messaggio di fratellanza, ma è da vent'anni che contribuiscono alla buona riuscita di questa manifestazione per poi fare ritorno nei rispettivi paeselli e fare i conti con una realtà che invece osteggia lo straniero e che ripudia ogni strumento e ogni atto rivolto ad una vera integrazione e pacifica convivenza. Della serie, finita la festa, tutto ritorna come prima». Khezraji sottolinea come tante associazioni di stranieri e di immigrati abbiano abbandonato la festa di Giavera: «Non è un caso - punge - ci siamo resi conto che in realtà si trattava di azioni più mirate allo spettacolo che alla coesistenza reale». Secondo il presidente di cittadinanza attiva, la coabitazione e la reale uguaglianza passano attraverso azioni concrete e quotidiane nei luoghi di studio, di lavoro e di svago. «Deve essere fatto da tutti un vero esame di coscienza, affiancato da una riflessione personale e comunitaria, perché gli stranieri non desiderano essere usati come puri strumenti di promozione, tanto meno come elementi folcloristici» tuona Kezhraij, sottolineando la propria esperienza quotidiana per aiutare concretamente l'integrazione.
Elena Filini
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