Nessun rischio di diffusione del contagio. Il caso di lebbra su un immigrato bengalese

Venerdì 8 Agosto 2014
Nessun rischio di diffusione del contagio. Il caso di lebbra su un immigrato bengalese 37enne residente a Quinto, è accertato, ma i vertici dell'Usl 9 danno ampie garanzie: «Non c'è alcun pericolo per la popolazione» scandisce il dottor Michele Tesserin, direttore sanitario dell'azienda.
«Abbiamo già attivato tutte le misure di prevenzione previste dalle linee guida nazionali ed internazionali. Che, stante la bassissima contagiosità e le modalità particolari di trasmissione, consistono in una visita dermatologica alle persone che convivono a stretto contatto e da lungo tempo con il paziente».
Il Dipartimento di prevenzione, dunque, sta già sottoponendo ai test i cinque familiari che vivono con l'extracomunitario.
Non sono in isolamento e lo stesso malato è ospitato in una stanza singola in via precauzionale. «Non è assolutamente indicata alcuna altra misura su nessun altro soggetto -rimarca Tesserin- Anche nei paesi occidentali dove si registrano più casi, come gli Stati Uniti, 150 all'anno, o la Gran Bretagna, un centinaio, si tratta sempre di cittadini provenienti da zone dove la malattia è endemica (India, Indonesia, Brasile, certe regioni africane, ndr) o che vi hanno soggiornato a lungo. Ma non si mai è registrato alcun episodio di trasmissione secondaria».
Il batterio della lebbra, infatti, è simile a quello della tubercolosi, ma molto meno aggressivo: attacca il derma e si insedia nei globuli bianchi, che, spesso, lo distruggono da soli.
Il malato in questione, sofferente anche di diabete, è stato ricoverato al Ca' Foncello a metà luglio per forti dolori e gonfiori alle gambe. Grazie anche all'esperienza in Africa di diversi membri dello staff di Malattie infettive e Dermatologia, alcune lesioni sulla sua pelle hanno fatto sorgere i primi sospetti. Mercoledì le biopsie hanno confermato: lebbra lepromatosa (una delle due tipologie). L'ha contratta nel suo paese d'origine, nonostante sia in Italia da otto anni: la malattia infatti ha un'incubazione lunghissima, tra i 5 e gli 8 anni. La terapia antibiotica e cortisonica a cui è sottoposto sta dando effetto, tanto che verrà dimesso tra qualche giorno, per essere inviato al centro di riferimento di Genova dove verrà sottoposto a successive analisi nell'ambito di un consolidato protocollo scientifico.
Anche il presidente della Regione, Luca Zaia, assicura che tutto è sotto controllo «grazie all'efficienza e alla professionalità dei medici trevigiani e della sanità veneta». Il governatore, però, non nasconde una certa preoccupazione, «la stessa -rivela- delle centinaia di mamme che mi hanno scritto in queste ore». La critica è all'operazione Mare nostrum e alla gestione dei profughi: «Non possiamo continuare ad accettare cittadini da ogni parte del mondo senza controlli preventivi sul loro stato di salute. Sono ricomparse malattie come lebbra, Tbc, scabbia, che consideravamo debellate da decenni. Servono frontiere sanitarie degne di questo nome: tanto più che questa ospitalità indifferenziata non rispetta nemmeno la dignità degli stessi immigrati».

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