L'INTERVISTA
TREVISO «Quando si è in emergenza non ci sono azioni positive

Domenica 13 Ottobre 2019
L'INTERVISTA
TREVISO «Quando si è in emergenza non ci sono azioni positive o negative: bisogna rispondere all'emergenza». Angelo Lino Del Favero promuove la scelta della Regione di assumere medici laureati e abilitati, non ancora specializzati, per rispondere alla carenza di specialisti negli ospedali. «Allo stesso tempo, però, va rivisto il percorso universitario di formazione dei medici, prevedendo l'iscrizione libera e lasciando che sia la stessa scuola a fare selezione - specifica - in più, c'è l'occasione per ripensare il rapporto tra gli specialisti e gli infermieri, così come tutte le altre professioni sanitarie». Il suo è un giudizio più che mai qualificato: dopo essere stato direttore generale dell'ex Usl di Pieve di Soligo e dell'ospedale Molinette di Torino, fino a sette mesi fa ha ricoperto il ruolo di direttore generale dell'Istituto superiore di sanità e adesso insegna management applicato alla sanità nelle Università La Sapienza e Luiss di Roma.
Dottor Del Favero, come si può risolvere il nodo della carenza di medici negli ospedali?
«L'operazione più importante è aprire il doppio imbuto: quello per entrare a Medicina e, soprattutto, quello per entrare nelle specialità. Tra questi due imbuti oggi molti se ne vanno all'estero, dove li fanno lavorare e operare subito. C'è stato un momento in cui le specialità venivano distribuite con una facilità estrema. Adesso, per la legge del pendolo, siamo finiti dalla parte opposta. L'imbuto si è creato anche per questo. Bisogna agire su tutto il settore della formazione. Oltre ai problemi logistici riguardanti le lezioni, probabilmente il percorso universitario dovrebbe essere cambiato pure sotto il profilo dei contenuti, con un adeguamento alle nuove realtà che vedono i medici chiamati ad essere anche gestori di risorse».
Da più parti si chiede un allargamento del raggio d'azione degli infermieri in servizio in ospedale, comprendendo attività che oggi vengono fatte esclusivamente dagli specialisti.
«Questo è il futuro. Negli Stati Uniti i pazienti vengono intubati dagli infermieri. Le refertazioni vengono fatte dai tecnici di radiologia. In Inghilterra sono i tecnici che refertano l'elettrocardiogramma. E così via. Fermo restando che le questioni di maggior complessità passano sempre agli specialisti. Qui l'Ordine dei medici fa un po' di resistenza. Ciò acuisce ulteriormente le difficoltà. Ma è fondamentale far crescere i ruoli delle professioni sanitarie».
Resta il problema degli stipendi dei camici bianchi: all'estero sono più alti.
«La nostra sanità ha bisogno di più risorse. È pacifico. Per di più, i medici che oggi lavorano in ospedale più sono sotto stress per la carenza di colleghi e più si demotivano. Si ritrovano a dover fare una montagna di guardie e di altre attività. E allora guardano come soluzione o al privato oppure, soprattutto se sono più giovani, se ne vanno all'estero. Ciò si traduce in una fuga di risorse che sono state formate dallo Stato italiano. E' questo il vero problema, che ha una ricaduta enorme».
Un aiuto potrebbe arrivare anche dalle nuove tecnologie, dai robot chirurgici e dalla telemedicina?
«Senza dubbio. A Milano grazie alla rete 5G un medico ha eseguito un intervento chirurgico su un paziente che si trovava a 10 chilometri di distanza. Se nel tempo si consolideranno tali tecniche, sarà possibile sviluppare una nuova visione del rapporto tra l'ospedale principale e quelli periferici. La tecnologia ci sorprenderà».
M. F.
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