L'INTERVISTA
TREVISO Dino De Poli e Giancarlo Gentilini hanno monopolizzato per

Giovedì 23 Luglio 2020
L'INTERVISTA TREVISO Dino De Poli e Giancarlo Gentilini hanno monopolizzato per
L'INTERVISTA
TREVISO Dino De Poli e Giancarlo Gentilini hanno monopolizzato per anni la scena. Due titani accomunati da molti aspetti: dall'età, agli studi in giurisprudenza, all'attività nella Cassa di risparmio, prima, Cassamarca, poi (di cui l'uno è stato presidente e l'altro dirigente dell'ufficio legale), all'impegno politico. Eppure due personalità debordanti, che non potevano non produrre scintille nel loro confronto pubblico, De Poli numero uno di Fondazione Cassamarca, Gentilini sindaco.
«E' una grande perdita per Treviso è il primo ricordo dello Sceriffo - , sparisce una figura che ha segnato la storia della città e ha lasciato una profonda impronta del suo passaggio. Entrambi abbiamo sempre sparso a piene mani l'amore per Treviso e i trevigiani».
La vostra conoscenza risaliva alla giovinezza.
«Dino l'ho conosciuto fin dai banchi di scuola e poi all'università. Abbiamo vissuto gli anni dolorosi della guerra e del dopoguerra. E poi in Cassamarca. Lo ricordo caramente, anche se, dal punto di vista politico, non ha mai amato la Lega e Gentilini».
Avete avuto anche degli scontri accesi.
«Non ha capito che, come sindaco, io ho rotto i vecchi schemi dell'amministrare. Ma era una politica diversa da quella attuale, in cui si vuole distruggere l'avversario, mors tua, vita mea. Noi abbiamo avuto diatribe anche feroci, ma poi ci trovavamo a bere un'ombra insieme. E bisogna riconoscere che ha fatto molto per la città».
In cosa differiva la vostra visione?
«Gli dicevo sempre: I denari di Fondazione Cassamarca sono denari dei cittadini e perciò ai cittadini devono ritornare'. Secondo me, a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione, dovevano servire per realizzare, da un lato, grandi strutture per gli anziani e, dall'altro, progetti per favorire la natalità. Lui aveva altre idee e a queste mie sollecitazioni rispondeva: Di queste cose si deve occupare il governo'».
L'eredità migliore di De Poli?
«E' stato il grande padrone della cultura: l'università, il teatro, le mostre. Però è sceso poco in mezzo alla gente, come invece ho fatto io. Intendeva la politica come un'attività per gli alti strati».
Cosa, invece, gli rimprovera maggiormente?
«Non ho mai digerito un solo fatto: quando ho salvato l'aeroporto Canova, sia la Fondazione, sia la Provincia si sono ritirate dall'operazione e mi hanno lasciato con il cerino in mano. De Poli non credeva che Treviso avesse bisogno di un aeroporto, mentre io ero di avviso del tutto opposto».
Il bilancio complessivo è comunque positivo?
«Innegabilmente. Anche la costruzione della Cittadella delle istituzioni e il risiko immobiliare vanno giudicati in relazione al momento della loro ideazione. Purtroppo poi è arrivata la crisi dell'edilizia, che nessuno poteva prevedere, a vanificare tutti i presupposti di quel disegno e alcuni dei fabbricati coinvolti sono tuttora vuoti».
Un aneddoto della vostra frequentazione, fuori dagli ambiti ufficiali?
«Da ragazzi giocavamo con le squadre di calcio delle nostre rispettive parrocchie, lui a Madona Granda, io a S. Maria Maddalena. Per la sua passione per la fotografia, lo chiamavamo click dal rumore che facevano scattando le macchine fotografiche di una volta».
Poche settimane dopo Aldo Tognana, Treviso perde un altro patriarca.
«Scompaiono i rappresentanti che hanno segnato un periodo storico e vengono avanti i rappresentanti dei tempi nuovi. Della mia generazione ormai siamo in pochi e vedere andarsene una persona che, come te, ha attraversato tutti questi anni, lascia sempre un forte dolore».
Mattia Zanardo
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