L'INTERVISTA
TREVISO «Avrei potuto andare in pensione nei mesi scorsi. Ma

Mercoledì 25 Novembre 2020
L'INTERVISTA TREVISO «Avrei potuto andare in pensione nei mesi scorsi. Ma
L'INTERVISTA
TREVISO «Avrei potuto andare in pensione nei mesi scorsi. Ma poi è esplosa l'epidemia da coronavirus. E non me la sono sentita di lasciare in quel momento. Lascerò l'anno prossimo. Spero che a quel punto anche il Covid abbia mollato la presa». Parla così Brunello Gorini, 69 anni, decano dei medici di famiglia della Marca. Ha già lasciato l'Ordine dei medici di Treviso, che l'ha visto presidente e vice per oltre 15 anni. Dopo quasi quarant'anni, non si è candidato alle elezioni dello scorso fine settimana. Resta invece alla guida della Fimmg di Treviso, la federazione dei medici di famiglia. E continuerà a concentrarsi sui suoi due ambulatori di Salgareda e Ponte di Piave.
Dottor Gorini, da dove nasce la decisione di chiudere con l'Ordine?
«Dalla convinzione che la categoria medica deve essere rappresentata da chi lavora, non da chi è o sarà in pensione. Diverse persone, poi, non vedevano l'ora di sapermi fuori. E così ho fatto posto».
Ha già pensato a cosa farà dopo la pensione?
«Andrò a vivere all'estero. I miei figli vivono all'estero. E qui vengo sempre contattato per lavoro. Dopo tanto tempo, ci penserà un altro».
Quando ha iniziato a fare il medico di famiglia?
«All'inizio degli anni 80. Non ci sono state tante premesse: nella prima notte di guardia medica ho seguito un parto a domicilio. Poi mi sono specializzato in Pediatria. Ma a quel punto avevo già scelto la strada del medico di famiglia».
Com'è cambiata la professione in 40 anni?
«Quarant'anni fa c'era rispetto per i medici. Venivano visti come persone che avevano studiato a lungo e si erano preparate nel migliore dei modi. I pazienti ringraziavano anche regalando polli e uova. Ricordo che mi è stato chiesto se potevano dirmi un Salve Regina. Adesso è cambiato tutto. Alcuni pazienti vengono in ambulatorio per chiedere dei farmaci mostrando ricerche su Google e ritagli di giornale. L'obiettivo dei medici, comunque, deve sempre essere quello di creare un'alleanza terapeutica».
L'emergenza coronavirus ha stravolto anche questo modo di procedere.
«È vero che sono calate le visite. Di contro, però, sono aumentati esponenzialmente i tele e i video-consulti. Oltre all'ambulatorio, non si contano più le chiamate, le mail, gli sms e i messaggi su WhatsApp. È cambiata la forma, non la sostanza».
Ha mai avuto a che fare con dei negazionisti?
«Con famiglie no-vax, in particolare. Ho provocatoriamente detto loro che senza il vaccino avrebbero affidato il loro figlio alla teoria darwiniana della selezione naturale. Hanno cambiato idea».
Cosa pensa di chi dice che i medici di famiglia non lavorano troppo e hanno uno stipendio elevato?
«Tutti i lavori che fanno altri possono sembrare facili. Ma chi dice questo è in malafede. Non si può non dire che gli stipendi sono al lordo non solo delle tasse, ma anche dell'affitto degli ambulatori, degli strumenti, dell'eventuale personale e così via. Senza tralasciare la responsabilità. Con il lavoro continuo nel territorio salviamo molte vite. È meno visibile rispetto a uno specialista che fa un'operazione complessa. Ma la realtà è questa».
Ha mai avuto la percezione diretta di aver salvato una persona?
«Sette volte mi è capito di pensare che se non fossi arrivato in tempo quei pazienti sarebbero morti. Tra queste, due volte con un'iniezione di adrenalina in shock anafilattici. A livello generale, i medici di famiglia sono spostati sulla prevenzione. Salvano vite in modo indiretto, ma le salvano».
Si è visto anche dalla prima linea durante l'attuale epidemia?
«E' certificata la correlazione tra la presenza dei medici di famiglia e l'aspettativa di vita dei cittadini. Si vive meglio e più a lungo dove c'è una rete capillare di medici sul territorio. E' la radice dell'albero della sanità. Si è visto e si vede con il coronavirus. Non a caso, purtroppo, la nostra categoria ha pagato il prezzo più elevato in termini di vite umane». (m.fav)
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