L'INTERVISTA
BREDA Quando la polizia di frontiera gli ha notificato il provvedimento

Mercoledì 22 Maggio 2019
L'INTERVISTA
BREDA Quando la polizia di frontiera gli ha notificato il provvedimento di espulsione si è messo a piangere. «Io un radicalista islamico? Non lo sono affatto. Credetemi. Non sono nemmeno un musulmano praticante». Yahia Mansour è sotto choc. Ora si trova a Sfax, una città sulla costa del Mediterraneo a tre ore di strada da Tunisi, dov'è atterrato domenica sera dopo esser stato respinto alla frontiera per motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo. «Neanche mi immaginavo cosa volessero i poliziotti quando mi hanno prelevato dall'aereo - racconta al telefono - : mi hanno fatto firmare alcune carte e mi hanno subito rimpatriato».
Il Ministero dell'Interno sostiene che lei abbia intrapreso un percorso di radicalizzazione e che tramite Facebook abbia fatto attività di proselitismo. Come risponde?
«Che sono accuse del tutto infondate. Non ho mai inneggiato al jihad, amo l'Italia e l'Europa. Non condivido in nessun modo le idee dell'Islam radicale e non ho mai avuto contatti con alcun terrorista».
E quelle frasi e immagini che appaiono sul suo profilo?
«In passato, quando ero ragazzino, ho condiviso dei contenuti su Hamas, questo è vero. Ma come ho detto ero solo un ragazzino. Vedevo le immagini dei corpi straziati dei bambini palestinesi morti sulla Striscia di Gaza e reagivo di conseguenza. Ora sono più grande e ho un'idea totalmente diversa. Sono contro la violenza, e soprattutto contro il terrorismo».
Cos'è cambiato?
«Sono cresciuto e sono venuto in Italia. Ho capito cosa significa abitare in un paese democratico. È qui che voglio vivere, che voglio lavorare, che voglio costruire il mio futuro. Sono giorni che non riesco a dormire, che piango continuamente. Non ho fatto nulla di male. E se ho sbagliato mandatemi in prigione: pagherò quello che devo pagare, ma voglio tornare a casa».
Com'era la sua vita a Breda?
«Quella di un ragazzo normale. Con i suoi amici, la scuola, le difficoltà nel trovare un lavoro. Non sono mai stato in carcere o altro, questo sia chiaro. Ho frequentato dei corsi di lingua e poi la scuola. Ero al Giorgi, ma non mi sono diplomato. Per questo sono tornato in Tunisia. Ho recuperato alcuni anni di studi e ho ottenuto il diploma».
Torniamo un attimo ai commenti su Facebook. In alcuni commenti definisci terroristi gli israeliani e posti le foto di un miliziano.
«Guardi, le dico solo che se fossi un radicalista non sarei diventato amico di un israeliano. Non crede? E invece è così. È un ragazzo con cui ho lavorato a Grado, al mercato, e siamo diventati grandi amici. Come spiegavo, io sono un ragazzo come tutti gli altri. Non sono un terrorista, non sono un radicale, e tanto meno inneggio alla jihad facendo proselitismo. Da quando sono in Italia non vado neanche più in moschea. Di fatto non pratico la religione islamica. Non sto facendo nemmeno il Ramadan».
Ma quindi, secondo lei, si è rovinato la vita per colpa dei social?
«Si. E quel che è peggio è che ho mandato in mio futuro con quei commenti e quelle condivisioni. Farei qualsiasi cosa per rimediare a un'errore di quando ero piccolo. A Treviso ho tantissimi amici, che possono spiegare chi sono e cosa faccio».
Qual'era il tuo sogno prima di tutto questo?
«Andare a lavorare con mio fratello. Comprare una macchina, andare in vacanza, sposare una bella ragazza e avere con lei delle bambine. Spero che qualcuno mi aiuti, perchè ho solo 19 anni e voglio tornare a casa mia, in Italia.
Alberto Beltrame
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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