L'ANNUNCIO
TREVISO «Sono sfiduciato. Siamo in troppi». Così Claudio

Mercoledì 1 Luglio 2020
L'ANNUNCIO
TREVISO «Sono sfiduciato. Siamo in troppi». Così Claudio Zanella avrebbe confidato la sua stanchezza ad alcuni colleghi albergatori meno di una ventina di giorni fa. Ma la decisione di chiudere Ca' del Galletto, uno degli hotel simbolo dell'ospitalità trevigiana, è arrivata solo ieri. Comunicata ai dipendenti da un consulente del lavoro. Una doccia gelata per 9 lavoratori. «Ci dicevano che eravamo una grande famiglia e non ci hanno neppure comunicato una notizia così importante in maniera diretta» è il commento di uno di loro. Il vero epilogo sarà il 5 luglio con la chiusura ufficiale. Ma il parcheggio invaso dall'erba, le biciclette lasciate nelle rastrelliere, porte e finestre chiuse da cui si intravedono ancora i grandi tappeti che accompagnavano le campane elettorali e le presentazioni dei vari candidati già raccontano l'ombra di ciò che l'hotel fu: un punto di riferimento per i turisti e il business in città, grazie alla più ampia piscina del centro storico e a un grande centro congressi.
IL RAMMARICO
Aperto dal 1976, punto di riferimento dell'ospitalità trevigiana, Ca' del Galletto aveva saputo conservare la caratteristica conduzione familiare. A disposizione 58 camere, una piscina, campi da tennis, palestra e spa, oltre a un centro congressi capace di contenere meeting fino a 300 persone. Ma oggi, come altre strutture, anche Ca' del Galletto deve soccombere definitivamente al colpo di grazia sferrato dalla pandemia. «Siamo sempre stati legati. Abbiamo collaborato per anni, gestendo insieme gli overbooking e aiutandoci a vicenda - è il commento di Gianni Garatti, presidente del Consorzio Marca Treviso - Ca' Del Galletto è un pezzo di storia trevigiana. È stata una grande sorpresa anche per me. Ma posso capirlo: oggi siamo davvero in troppi, l'offerta è sproporzionata rispetto alla domanda. E c'è tanta sconsideratezza nel garantire nuove aperture». Garatti guarda anche in casa propria. «Sono davvero dispiaciuto perché la loro era una struttura sempre curata, hanno continuato a investire: grande piscina, palestra, centro congressi ma l'albergo costa troppo. Questo dissesto durerà almeno fino al 2021, in albergo da me ho avuto la cancellazione di 70 gruppi. Non c'è più turismo, la gente non si muove. Gli aiuti non arrivano. Nella filiera, noi proprietari siamo compressi tra fornitori che vogliono essere pagati e clienti che non ci sono».
LE REAZIONI
Ieri mattina anche Roberto Migotto, titolare del Migò, si diceva dispiaciuto. «Nessuna comunicazione ufficiale a noi. La struttura è unica e di proprietà della famiglia, noi siamo in affitto. Quello che posso dire è che purtroppo l'hotel chiude. Ma il ristorante resta aperto» chiarisce. La decisione di mettere la parola fine a una storia familiare importante si immagina sofferta. Ma la sofferenza è condivisa dai 9 lavoratori che oggi vedono quantomai incerto il proprio futuro lavorativo. «Siamo qui da molti anni, alcuni di noi da più di 20. Ricollocarci ora sarà difficilissimo. È davvero una doccia gelata» prosegue uno dei lavoratori, 4 portieri e 5 cameriere in tutto. «Ci ritroviamo disoccupati dopo anni, ma a farci davvero male è il modo in cui questa notizia ci è stata data, senza alcun tipo di condivisione e di vicinanza. È una batosta».
LO SCONFORTO
Gli ultimi mesi erano stati difficili: cassa integrazione in ritardo, alcuni arretrati poi saldati. «Abbiamo incontrato il titolare per l'ultima volta il 30 aprile: le cameriere erano in cassa integrazione, i portieri a turno effettuavano servizio di sorveglianza. Ci è stato comunicato che a decorrere da quella data saremmo entrati in cassa integrazione tutti, avremmo dovuto riaggiornarci per un'eventuale ripartenza in autunno, poi più nulla. E ieri la notizia». Le difficoltà della struttura e il vuoto di prenotazioni erano però sotto gli occhi di tutti: le strutture storiche trevigiane hanno pagato più di altre anche la concorrenza aggressiva dei b&b. «Sicuramente i problemi ci sono, e le difficoltà erano chiare anche a noi. Però questa decisione irrevocabile avrebbe dovuto esserci comunicata in altro modo. Lasciamo ricordi, affetti. Ora attendiamo solo la lettera di licenziamento».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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