«In terapia intensiva pazienti più giovani»

Venerdì 7 Maggio 2021
L'INTERVISTA
VITTORIO VENETO «L'età media delle persone che vengono ricoverate in Terapia intensiva per infezione da coronavirus è scesa a 66 anni. È necessario che tutti si rendano conto dei rischi. Non si può abbassare la guardia: la vaccinazione è fondamentale». Non potrebbe essere più chiaro Alberto Grassetto, 46 anni, direttore dell'unità di Anestesia e rianimazione del Covid Hospital di Vittorio Veneto. A fronte dell'emergenza coronavirus, nei blocchi operatori dell'ospedale di Costa sono stati ricavati 11 posti letto di Terapia intensiva. E l'unità ora si prepara a diventare stabile. «Ad agosto partiranno i lavori per realizzare 6 posti letto fissi di Rianimazione, compreso uno isolato spiega l'Usl rispetto al primo piano, che prevedeva quattro posti, il valore dell'intervento è salito da 1,8 a 2,4 milioni. L'obiettivo è portarlo a termine entro novembre. Poi l'ospedale di Vittorio Veneto avrà una propria Terapia intensiva stabile, che prima non c'era. L'importante sarà trovare anestesisti, merce sempre più rara e preziosa. Proveremo con una nuova serie di avvisi pubblici».
Dottor Grassetto, qual è l'andamento dell'epidemia da Covid visto dalla Terapia intensiva?
«Ho assunto la direzione dell'unità nel novembre dell'anno scorso. Negli ultimi sei mesi abbiamo registrato 112 ingressi. Più un'altra quarantina di pazienti gestiti e di seguito trasferiti altrove, con il coordinamento del 118. Nel tempo l'età media delle persone ricoverate si è via via abbassata. Oggi non vediamo quasi più pazienti con più di 80 anni. La maggior parte ha tra i 50 e i 70 anni».
La malattia è cambiata a livello clinico?
«L'ospedale di Vittorio Veneto ha contato in tutto oltre 2mila ingressi. E sappiamo che circa il 10% dei pazienti presenta una gravità tale da richiedere il ricovero in Terapia intensiva. Il cambiamento è legato all'abbassamento dell'età: le persone più giovani generalmente rispondono meglio alle cure rispetto agli anziani. Questo, quando possibile, ci consente di estubare i pazienti nel giro di 7 o 8 giorni. Ma non si può pensare che il pericolo sia minore».
La mortalità resta in linea con la media regionale del 60%? «Va detto che prima dell'epidemia le Rianimazioni non avevano mai visto percentuali di mortalità così elevate. Prima c'erano pazienti con problemi diversi tra loro. La mortalità si aggirava sul 15%. Adesso si è tra il 40 e il 60%. L'oscillazione dipende dal quadro dei pazienti che vengono ricoverati. Anche per questo è fondamentale il continuo scambio di informazioni che abbiamo con l'area semi-intensiva e con i reparti ordinari».
Come funziona la Terapia intensiva allestita per l'emergenza Covid?
«È tutt'altro che una Rianimazione improvvisata. Gli spazi operatori consentono di gestire al meglio anche i pazienti in isolamento. C'è stata una riconversione degli ambienti e i problemi strutturali sono stati risolti. C'è poi un gruppo di lavoro straordinario. Nelle difficoltà e nelle situazioni di stress si vede il valore delle persone. E quando è stato possibile riaprire alle visite dei familiari, la risposta è stata molto positiva. Ora guardiamo avanti. In Rianimazione si mutuano spesso i termini del volo. In questo senso diciamo che la costruzione ex novo di un'unità di Terapia intensiva è assimilabile alla costruzione di un aeroporto».
M.Fav
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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