Il regista Emiliani: «Rendo protagoniste le donne»

Giovedì 21 Ottobre 2021
L'INTERVISTA
Non è difficile trovare analogie tra il Don Pasquale e la vicenda biografica dell'autore. Quando compone quest'opera Donizetti non è più giovanissimo e sta per imboccare la strada della malattia e della fine. Nel protagonista il compositore deve aver rivisto sé stesso e lui stesso, in una lettera indirizzata al cognato qualche mese prima della stesura dell'opera, confessa: «Io rido, ma poi tu sai bene se in fondo al core non ho la melanconia che mi opprime, e formo di mia gaiezza orpello per coprirla». È a questo sostrato malinconico, intimista e con sfumature borghesi che Giuseppe Emiliani fa riferimento nella costruzione del suo allestimento del Don Pasquale che debutta a Treviso con una produzione tutta veneta.
Emiliani, perché valeva la pena di ri-allestire il Don Pasquale, a volte considerata un'opera minore di Donizetti?
«A leggere la trama l'impressione è quella di un'opera scontatamente convenzionale. Poi però inizia la musica e tutto cambia. Perché emergono il dramma semi-serio, la commedia sentimentale, la moderna sensibilità romantica. Le convenzioni comiche rimangono e la meccanizzazione di stampo rossiniano è a tratti evidente, eppure i personaggi sono animati da una sensibilità, una naturalezza, un realismo di diverso genere. L'innamorato, il sensale, la bella intraprendente, il vecchio burlato diventano personaggi credibili e lo sguardo di Donizetti sui personaggi è amaro e disincantato. Questo fa del Don Pasquale non una semplice opera buffa, ma una riflessione teneramente malinconica sulla vecchiaia e sulla giovinezza».
Dunque la malinconia diventa la cifra di questo lavoro?
«In tutta l'opera serpeggia, non troppo velato, un senso di crudeltà e di cinismo umano che si fa tanto più evidente quanto più si sviluppa l'azione comica. La risata, che scaturisce dal vedere il vecchietto scornato a causa del cinismo di coloro che sono pronti a tutto per recuperare l'eredità, si alterna inconsapevolmente all'amarezza della disillusione. Non c'è un personaggio che si salvi: l'egoismo e l'avidità di Don Pasquale sono ripagati con le sue stesse armi da coloro che lo circondano».
Il protagonista esce dunque dalla macchietta?
«Don Pasquale non è più il ridicolo vecchio d'inizio opera che suscita, con le sue smanie amorose, nient'altro che ilarità nello spettatore. Al contrario, diventa ora un eroe umano, e quasi tragico, che raccoglie tutte le simpatie del pubblico». Questo conferisce all'opera una cifra più moderna? «Il Don Pasquale è cronologicamente l'ultima opera buffa italiana a entrare nel repertorio dei classici, grazie soprattutto alla tinta borghese e salottiera con cui Donizetti tratteggia musicalmente la vicenda facendo convivere tratti farseschi, tocchi di colore contemporaneo (il valzer) e pagine impregnate di autentico lirismo malinconico. Essendo ormai commedia musicale più che opera buffa, costituisce lo splendido canto del cigno di un genere che per un buon secolo aveva trionfato nell'Europa teatrale».
Nella sua lettura la figura femminile assume una connotazione cruciale per dare la cifra dell'allestimento. In che senso?
«Sono le donne ad essere le protagoniste di quei ruggenti anni Venti: donne che interpretano diversamente il loro ruolo nella società, con il loro atteggiamento irriverente e beffardo, con la loro gioiosa voglia di trasgressione. La voglia sfrenata di dimenticare in fretta gli orrori della guerra e di divertirsi si traducono in una prorompente vitalità. Sono gli anni di una donna anticonformista, che si allontana in maniera decisa dagli stereotipi convenzionali: è una donna che beve, fuma, balla, non si sente affatto inferiore all'uomo. È una donna che ha voglia di mostrarsi al mondo, che esibisce con sfrontatezza la propria emancipazione».
Qual è stata la scelta rispetto a scenografie e costumi?
«La scenografia virtuale realizzata da Federico Cautero e i costumi di Stefano Nicolao richiamano l'atmosfera sensuale, edonistica del periodo del primo dopoguerra: lo stile Déco, uno stile di vita eclettico, mondano, alla ricerca del lusso e di una piacevolezza del vivere, tanto intensi quanto effimeri».
Giambattista Marchetto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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