IL PROTAGONISTA
REVINE LAGO Da poeta e profondo conoscitore della cultura popolare

Domenica 22 Luglio 2018
IL PROTAGONISTA
REVINE LAGO Da poeta e profondo conoscitore della cultura popolare a neofita romanziere dal carattere epico-picaresco sulla caduta di un'utopia. Fresco di stampa per Marcos y Marcos è La parabola degli eterni paesani, il primo romanzo di Luciano Cecchinel, che sarà presentato stasera alle 17.45 negli spazi di Villa Brandolini a Solighetto di Pieve di Soligo. Un lavoro che racconta l'aspirazione di un gruppo di amici di raddrizzare tutto ciò che va storto nel loro pezzo di mondo.
Quanto c'è di autobiografico in questa storia?
«Nel libro sono rappresentati, tra variazioni fantasiose e umoristiche, molti accadimenti della mia giovinezza e di riflesso alcuni personaggi, per certi aspetti, si rifanno ad amici miei, alcuni purtroppo scomparsi. Ma nel romanzo si tratta di archetipi, tanto che ne risultano un po' surreali».
Cioe?
«In ognuno di loro sono assemblati tipi sociali e situazioni di tempi diversi e anche lontani. Ad ogni modo io stesso, che ho vissuto più o meno direttamente molto di quanto esposto, mi sono rispecchiato in loro in moltissime situazioni. Al di sotto dell'espressione ironico-satirica ha poi campo l'amore per un territorio che, oltre ad essere quello in cui sono nato e vissuto, è generalmente considerato suggestivo come pochi altri. A questo si lega infine l'attaccamento, pur in certi limiti di natura paesana, all'assetto antropologico complessivo e alle peculiarità tradizionali di tutta una comunità».
Quali sono stati i fattori che l'hanno portata, dopo una traiettoria di poesia, a scrivere un romanzo e proprio in questo stile?
«Il racconto era stato steso nelle sue linee essenziali negli anni '80, quindi dopo aver scritto, ma non ancora pubblicato, il primo libro di poesia. Ad ogni modo, più che di una storia, si tratta di un assieme di storie. La poesia, che si esplica per messaggi condensati e stilizzati, non mi avrebbe consentito di rendere nei dettagli la varietà di situazioni e di ambienti, e di caratterizzare sotto molteplici aspetti i personaggi. Tutto ciò non poteva che comportare descrizioni e dialoghi estesi, quindi forme espressive che sono peculiari della prosa».
Perché proprio questo stile ironico-tragico?
«Non sarei stato in grado di fare diversamente. Non potevo usare uno stile dal sapore giocoso, soprattutto dopo la cesura esistenziale determinata dalla malattia e dalla scomparsa di mia figlia, la primogenita. Penso che questa soluzione espressiva mi sia scaturita come ammorbidimento alla disillusione che viene da ogni caduta di utopia, tanto più se anche turlupinata».
C'è un messaggio che vorrebbe venisse colto, al di sopra della saga paesana, dalla lettura del libro?
«Sì, le situazioni e le vicende descritte, pur nell'impasto localistico e nelle forzature espressionistiche, penso siano indicative di movimenti ciclici, e quindi mai del tutto superabili, dell'esercizio politico. La politica attiva sempre la polarità tra realtà e utopia ma anche, più crudamente, quella tra buonafede e malafede. Il tutto dovrebbe quindi far riflettere sulle difficoltà di leggere nella natura umana. A maggior ragione nel momento in cui le personalità si frangono, si spezzano, talvolta si rimodellano nell'esperienza viva della politica. Si potrebbe definire il racconto un'operetta politica più che morale, dato che il finale si scontra, più che conciliarsi, con le finalità della morale».
Vesna Maria Brocca
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