Il prosecco cresce «Nome e qualità la sfida negli Usa»

Venerdì 24 Maggio 2019
IL FENOMENO
VALDOBBIADENE In America del Nord in 5 anni il prosecco ha fatto segnare un +75%. E, ottima notizia per i consumatori, il bevitore medio è donna. Con il 59% il sesso debole supera il 41% dei maschi nella classifica di abituali consumatori del vino. Quello che gli statunitensi non comprendono, ma neppure gli europei e chissà gli italiani, è il nome. Che differenza c'è tra Prosecco e Prosecco superiore? La vera sfida è tutta lì. Valorizzare e differenziare il prosecco nella grande distribuzione organizzata e nel web, lavorare su packaging e brand, capire che i social oggi contano molto più della pubblicità tradizionale. Perchè se il prosecco è diventato un fenomeno globale non deve correre il rischio di essere ricordato come una bolla. E oggi per mantenere successo e qualità, lo storytelling è fondamentale. Come insegnare al consumatore a scegliere un vino? Perchè tra mille etichette, dovrebbe proprio allungare la mano sul tuo? E poi: i nomi Prosecco Superiore e Docg aiutano a orientarsi nella selva delle bollicine? «No, non si capisce. Bisogna trovare strategie diverse» scuote la testa Francesco Buschi, strategist director di Futurebrand, che segue colossi come Nike, Barilla e Bentley, primo ospite dell'incontro destinato a viticoltori sulla promozione del Prosecco superiore nei diversi canali di vendita. «A livello di marketing, il vino costituisce un'anomalia: un prodotto artigianale, in cui gli elementi classici della marca si fondono con la territorialità e le sue specificità». Quello tra acquirente e prodotto è un rapporto soprattutto edonistico, non di vera conoscenza. «Ecco perchè bottiglia ed etichetta fanno la differenza. L'amarone ha adottato la cornucopia in etichetta e le vendite sono salite. Perchè l'effige implica qualcosa di raffinato, qualitativamente elevato». Gli acquisti nel settore eno si fanno prevalentemente al supermercato. Ecco che, in assenza del consiglio, conta molto l'immagine. Un mercato da cavalcare con decisione è quello degli Usa. «Quando sono andato a vivere 17 anni fa a San Francisco, in California, nessuno conosceva il prosecco-racconta il giornalista e saggista Federico Rampini nel suo ultimo libro-Dopo 2 anni non c'era un solo bar in tutta la città dove non veniva servito come aperitivo». La globalizzazione del prosecco ha investito il mercato d' oltreoceano. «Ma gli americani non capiscono il concetto di denominazione-ammonisce Scott Zoeller, buyer del mercato americano-la vera sfida è come far emergere la qualità della Docg in un mercato dove oggi vige la confusione».
Elena Filini
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