IL NODO
TREVISO La paura rischia di fare più danni dello stesso coronavirus. Gli imprenditori trevigiani non nascondono i timori. In questo periodo molti di loro prima di riaccogliere un dipendente rimasto in malattia per una forma influenzale pretendono di vedere un certificato medico che assicuri che non è stato colpito da coronavirus. Questo, però, non è possibile. E così scatta il cortocircuito. «E' già capitato varie volte che un datore di lavoro non accetti il rientro di un suo dipendente al termine del periodo di malattia rivela Brunello Gorini, segretario della Fimmg di Treviso, la federazione dei medici di famiglia con le norme attuali, i datori non conoscono le diagnosi. E provano ad aggirare l'ostacolo chiedendo al lavoratore di farsi fare dal proprio medico curante un certificato che dica che non ha il coronavirus. E' già successo che abbiano mandato indietro il dipendente. Noi, però, non possiamo fare un certificato dicendo che un paziente non ha un'infezione. In primis perché non è proprio possibile. E poi perché non è previsto da nessuna parte. Se un lavoratore finisce il proprio periodo di malattia, vuol dire che alla luce della valutazione del proprio medico è guarito e può rientrare senza problemi». Quello del certificato è un nodo che tocca anche i pediatri. In questo caso riguarda l'ammissione a scuola dei bambini e dei ragazzi dopo un periodo di assenza andato ad agganciarsi alla chiusura degli istituti a causa dell'emergenza legata al nuovo coronavirus. Diverse mamme che si sono recate dal pediatra per avere il certificato, però, si sono sentite rispondere che non è possibile farlo. Ed è scoppiato il caos. Il motivo è sempre lo stesso. «Le scuole vogliono i certificati. Ma i medici non possono certificare che un bambino o un ragazzo non è stato contagiato mette in chiaro Gianfranco Battaglini, segretario provinciale della Fimp, la federazione dei medici pediatri non c'è nessun senso clinico. Semplicemente si scarica la responsabilità sui medici. La cosa non è sostenibile». Ad oggi la norma prevede che fino al 15 marzo la riammissione di alunni e studenti dopo un'assenza per malattia di più di cinque giorni avvenga con allegato il certificato medico. Anche in deroga ad altre disposizioni. I sindacati dei pediatri chiedono a gran voce di rivedere il provvedimento. Ma ad oggi è questo. (mf)
© RIPRODUZIONE RISERVATA TREVISO La paura rischia di fare più danni dello stesso coronavirus. Gli imprenditori trevigiani non nascondono i timori. In questo periodo molti di loro prima di riaccogliere un dipendente rimasto in malattia per una forma influenzale pretendono di vedere un certificato medico che assicuri che non è stato colpito da coronavirus. Questo, però, non è possibile. E così scatta il cortocircuito. «E' già capitato varie volte che un datore di lavoro non accetti il rientro di un suo dipendente al termine del periodo di malattia rivela Brunello Gorini, segretario della Fimmg di Treviso, la federazione dei medici di famiglia con le norme attuali, i datori non conoscono le diagnosi. E provano ad aggirare l'ostacolo chiedendo al lavoratore di farsi fare dal proprio medico curante un certificato che dica che non ha il coronavirus. E' già successo che abbiano mandato indietro il dipendente. Noi, però, non possiamo fare un certificato dicendo che un paziente non ha un'infezione. In primis perché non è proprio possibile. E poi perché non è previsto da nessuna parte. Se un lavoratore finisce il proprio periodo di malattia, vuol dire che alla luce della valutazione del proprio medico è guarito e può rientrare senza problemi». Quello del certificato è un nodo che tocca anche i pediatri. In questo caso riguarda l'ammissione a scuola dei bambini e dei ragazzi dopo un periodo di assenza andato ad agganciarsi alla chiusura degli istituti a causa dell'emergenza legata al nuovo coronavirus. Diverse mamme che si sono recate dal pediatra per avere il certificato, però, si sono sentite rispondere che non è possibile farlo. Ed è scoppiato il caos. Il motivo è sempre lo stesso. «Le scuole vogliono i certificati. Ma i medici non possono certificare che un bambino o un ragazzo non è stato contagiato mette in chiaro Gianfranco Battaglini, segretario provinciale della Fimp, la federazione dei medici pediatri non c'è nessun senso clinico. Semplicemente si scarica la responsabilità sui medici. La cosa non è sostenibile». Ad oggi la norma prevede che fino al 15 marzo la riammissione di alunni e studenti dopo un'assenza per malattia di più di cinque giorni avvenga con allegato il certificato medico. Anche in deroga ad altre disposizioni. I sindacati dei pediatri chiedono a gran voce di rivedere il provvedimento. Ma ad oggi è questo. (mf)