Diocesi, casse vuote per stipendiare i preti

Venerdì 19 Luglio 2019
L'INCHIESTA
TREVISO Il vortice di Veneto Banca ha azzoppato i conti della Chiesa della Marca. La diocesi di Treviso non cammina più sulle proprie gambe: oggi è indispensabile la solidarietà delle altre diocesi sparse per l'Italia. La perdita di 1,5 milioni di euro, pari a quasi 50mila azioni della banca che si sono di fatto volatilizzate, è stata una botta fortissima. A questa si aggiunge l'evidente calo del numero di fedeli praticanti e la conseguente picchiata delle offerte. Un mix terribile per i bilanci. Il risultato è che oggi gli stipendi dei 398 sacerdoti attivi nelle parrocchie della diocesi di Treviso vengono pagati solo grazie all'aiuto delle altre Chiese che versano le loro quote all'istituto centrale di Roma, chiamato a fare cassa comune per poi distribuire i fondi per la remunerazione dei preti in base alle necessità e alle soglie di reddito decise dalla Conferenza episcopale italiana.
ANNUS HORRIBILIS
Nel 2016 l'istituto per il sostentamento del clero di Treviso non è riuscito a inviare nemmeno un euro a Roma. Anzi, la diocesi ha dovuto attingere anche ai fondi dell'8 per mille, generalmente usati per progetti della Caritas, missioni, restauri e così via. Adesso si sta lentamente rimettendo in modo, grazie anche alla vendita di alcuni immobili. Ma la strada è ancora lunga. Il compenso mensile di un prete può variare tra i 988 e i 1.866 euro lordi, in base all'anzianità. Vuol dire che in media per gli stipendi si muove una cifra complessiva pari a circa mezzo milione di euro al mese. «Nel 2008 riuscivamo a coprire autonomamente il 50% del monte totale per la remunerazione dei sacerdoti -fa il punto don Giuseppe Minto, presidente dell'istituto diocesano per il sostentamento del clero, l'ente che gestisce il patrimonio ecclesiastico- adesso oscilliamo attorno al 15%. É una percentuale bassa, speriamo di aumentarla quanto prima».
LA PARTITA RIMBORSI
Per ora arrivano dalle casse della diocesi di Treviso meno di 100mila euro al mese a fronte di un monte stipendi medio per i sacerdoti da circa 500mila euro al mese. Nemmeno prima della crisi economica si riusciva a pagare tutto in modo autonomo. Ma una percentuale del 50% era decisamente elevata. La differenza sta tutta qui. E mentre i preti calano, negli ultimi dieci anni ne sono stati persi 72, calano pure le entrate dalle offerte. E' pure vero che ci sono parrocchie con i conti decisamente in salute. La collaborazione di Ponzano, ad esempio, ha potuto contare su un tesoretto da oltre un milione di euro lasciato da don Aldo Danieli, ex parroco di Paderno. Ma sono ben poche quelle in situazioni simili. Adesso la diocesi di Treviso punterà a ottenere il rimborso del milione e mezzo perso con Veneto Banca, sulla falsariga dei comitati dei cittadini che sostengono di essere stati truffati? «Vedremo cosa sarà possibile fare sotto questo aspetto, ovviamente come tutti gli altri cittadini, nel pieno rispetto della legge -sottolinea don Giuseppe- nel frattempo stiamo ripartendo. Ci sono state delle dismissioni. Un po' alla volta si riprende. E il piano delle cessioni sta continuando. Attenzione, però, si vende ma non si svende». «Bisogna tornare a produrre -aggiunge- solo in questo modo si può lavorare e pagare le tasse: sono benefici che alla fine coinvolgono tutta la filiera».
IL NUOVO VESCOVO
Quello dei conti è uno dei primi temi su cui lavorerà il nuovo vescovo economista di Treviso, monsignor Michele Tomasi, nato a Bolzano e laureato in Economia alla Bocconi con 110 e lode, che il 6 ottobre farà il suo ingresso in Cattedrale prendendo il posto di Gianfranco Agostino Gardin. La diocesi di Treviso era una delle più virtuose d'Italia. E vuole tornare a esserlo. Certo, non è più pensabile che riesca a mantenersi esclusivamente con fondi propri. Questo succedeva solo prima dell'industrializzazione. Il mondo è cambiato. La Marca in particolare. A fronte di questo, l'istituto diocesano per il sostentamento del clero di Treviso aveva scelto di investire anche nelle azioni di Veneto Banca per garantirsi un risparmio. «Era stato dato come un risparmio sicuro -rivelano dalla diocesi- pronto per essere rimesso nel circolo dell'economia». A suo tempo, sulla decisione di accantonare dei soldi senza procedere all'acquisizione di nuovi immobili aveva anche pesato il timore di passare per palazzinari. Ma alla fine le cose non sono andate come si sperava. E così l'istituto che prima del vortice di Veneto Banca era abituato a chiudere il bilancio annuale con un utile di circa un milione, proveniente dall'amministrazione e dagli affitti di immobili, palazzi, strutture, terreni e così via, si è ritrovato a terra. O quasi. Rimettersi in piedi ora non è esattamente una passeggiata. Ma il percorso è iniziato.
Mauro Favaro
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