«A volte non capiamo il segnale d'allarme dei piccoli»

Sabato 24 Agosto 2019
«A volte non capiamo il segnale d'allarme dei piccoli»
LA CRIMINOLOGA
Un padre può diventare il carnefice della figlioletta di 2 anni? Abusare di lei? Una domanda alla quale in tanti, di fronte a un dramma come quello venuto alla luce in queste ore, hanno cercato di dare una risposta, quasi le parole potessero dare sollievo. E tocca a psicologi e criminologi scavare nell'animo umano per dare una spiegazione scientifica al male. E quanto prova a fare anche la criminologa Antonella Cortese (vicepresidente dell'Accademia italiana delle scienze di polizia investigativa e scientifica): «La vita - esordisce - può trasformare un uomo in un orco: niente più di umano in chi va a caccia sul web alla ricerca di pedofilia e pedopornografia online, niente più di umano per chi violenta donne e bambine. È accaduto a Treviso. Violentava la figlia di due anni e metteva video in rete. È stato arrestato grazie alla segnalazione della polizia australiana, che indagando sui siti pedopornografici nel dark web ha rintracciato i video in cui compariva il volto del presunto orco».
INDIFESI
E quanto emerge dall'inchiesta sull'orco trevigiano mette a nudo quanto complicato sia difendere i bambini e i minorenni. Perché capita, come è accaduto questa volta, che l'orco fosse il vicino di casa, l'insospettabile della porta accanto. «Quando gli orchi sono in casa - aggiunge Cortese - i bambini sono senza difese e per questo è necessario che dal mondo della scuola fino al comportamento responsabile dei vicini di casa andrebbe riconsiderata l'idea per un'educazione civica e morale che possa avere la sensibilità di riconoscere qualsiasi segnale d'allarme o grido d'aiuto che i minori sono sempre in grado di emettere. Quando gli orchi sono sul web la lotta delle Forze dell'Ordine deve essere senza quartiere. Le polizie di tutto il mondo, insieme alle associazioni che si occupano della tutela dei minori combattono ogni giorno contro gli orchi che vanno a caccia di bambini, alla ricerca di immagini di pedopornografia o di esperienze dirette di abuso, come i turisti sessuali. Si tratta, purtroppo, di traffici frequenti, dissimulati sotto attività lecite e difficili da contrastare. Ma anche in questo caso l'educazione ad un coretto uso della rete è indispensabile».
LE CAUTELE
Cortese lancia anche un messaggio che vorrebbe essere un consiglio a tutti per cercare di difendere i soggetti più deboli, come sono appunto i bambini. «Se la condivisione di foto e video con soggetti adulti comporta dei rischi limitati, non è così nel caso di soggetti minori. Molti utenti infatti condividono in totale buona fede le foto dei propri figli, magari in compagnia di altri minori. La prima regola dovrebbe essere quella di non condividere (e non far condividere) foto dei propri figli sui social media o almeno controllare sempre il livello di privacy dei contenuti multimediali, specialmente quelli che ritraggono minori. Questo dimostra - conclude Cortese, criminologa nonché vicepresidente Aispis.- la complessità del web, ma soprattutto evidenzia la necessità di un intervento dei provider e dei colossi del web fornitori di servizi come le piattaforme di file sharing. Non possono nascondersi più dietro la tutela della privacy e hanno la responsabilità di vigilare sul materiale che circola sotto il loro nome».
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